Perché tocca a me? (#Dante, Paradiso, canto XVII, vv. 1-27; 46-69; 94-142).

leonardolugaresi

Le cose, a questo mondo, si dividono in due categorie (ed è forse la divisione più importante che ci sia): quelle che toccano agli altri e quelle che toccano a me. Toccano a me perché toccano me: mi toccano, cioè mi prudono, mi pungono, talvolta mi feriscono e infine mi trafiggono. Me, e non gli altri.

Ignorare, trascurare, o peggio far finta di non vedere questo iato abissale impiomba di falsità ogni nostro discorso, anche il più alto e benintenzionato; lo grava di un irrimediabile fondo di vaniloquio che rende chiunque lo faccia simile a quegli insopportabili amici di Giobbe che, appena saputo delle sue disgrazie, si installano a casa sua a sentenziare sulla sua sorte e non se la finiscono più di tormentare quel poverocristo, tanto che alla fine del libro anche Dio si incazza con loro (Gb 42, 7-8).

La serietà del “tocca a me”, starei per dire…

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