Rivoluzionare il calcio accettando gli errori. La questione VAR

Un adagio latino, tanto vecchio quanto famoso, recita: «Errare humanum est, perseverare autem diabolicum».

Parlare del VAR è come perseverare nell’errore.

Eppure, negli ultimi tempi, il tema VAR è quello che più tiene banco. Ieri, per esempio, si è tenuto a Roma, presso l’Hotel Parco dei Principi, un incontro proprio su questo argomento: si è trattato di un confronto tra giocatori, allenatori e arbitri.

Il tema, come si sa, è scottante, soprattutto dopo i numerosi errori di questo inizio di stagione. Indiscusso protagonista è stato Carlo Ancelotti che, intervenendo, è entrato subito nel vivo della questione richiamando l’errore fatto dall’arbitro Giacomelli in Napoli-Atalanta. Mi interessa, però, segnalare questo breve passaggio:

Io voglio accettare l’errore di Giacomelli, come quello di Rocchi, ma non accetto l’errore del Var. L’errore lo deve fare l’arbitro sul campo .

Lascio da parte il “botta&risposta” tra Ancelotti e Rizzoli (il dirigente arbitrale che ha tenuto la conferenza), e mi soffermo sulle parole del mister che colgono, a mio giudizio, il nocciolo del problema: l’errore. Il VAR può senz’alcun dubbio migliorare la gestione arbitrale delle partite, ma come supporto per le situazioni c.d. oggettive, come uno scambio di persona per i cartellini, un fuorigioco e così via. Invece, con ciò che è interpretabile il VAR può far poco o niente. Forse, in alcuni casi, può essere ancor più dannoso. Talvolta un fermo immagine non dice tutto e resta fondamentale la “sensazione” dell’arbitro che ha guardato l’azione dal vivo.

La vera rivoluzione, dunque, non è la tecnologia (da non demonizzare), ma comprendere che l’errore fa parte del gioco: si tratta di “cosa umana” e nel calcio, come in tutte le cose, si può sbagliare.

Sembra cosa evidente, ma oggi, almeno così pare, le cose evidenti non hanno grande appeal.

Giovanni Covino

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Giovanni Covino, autore e curatore del blog.