Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) è stato uno scrittore assai prolifico. Autore di numerosi saggi e articoli, drammi, romanzi e persino di un poema epico, Chesterton ha sempre amato il paradosso e l’ironia. Una costante quest’ultima e che ritroviamo spesso anche nelle parole di uno dei suoi personaggi più celebri: padre Brown, sacerdote e investigatore protagonista di una cinquantina di racconti gialli dello scrittore britannico.
«Non occorre intelletto per essere intellettuali» – dice il sacerdote in uno di questi racconti. Esempio perfetto dell’ironia di cui sopra.

Tuttavia, in questo breve articolo vorrei soffermarmi sulle pagine di un piccolo ma denso saggio, pubblicato nel 2002 da Sellerio editore e in seconda edizione nel 2019 dallo stesso editore, dal titolo Come si scrive un giallo. Non mancano anche qui il paradosso e l’ironia, in un testo che – come nota il curatore del volume, Sebastiano Vecchio – raccoglie «una serie di osservazioni, spunti, suggestioni mai banali e di godibilissime divagazioni sul tema della letteratura poliziesca» (p. 15).
Il cosiddetto giallo è, in queste pagine, definito attraverso osservazioni sottili, perspicaci, volte a scandagliarne la vera natura, evidenziandone forza e senso.
Nelle prime pagine Chesterton parla di questo racconto come di «ballo in maschera in cui ognuno è travestito da qualcun altro», una definizione davvero interessante perché permette di intuire immediatamente la struttura di questo genere letterario: l’autore crea una cornice narrativa (il ballo) e i personaggi (le maschere) che svelano il loro vero volto solo alla fine, quando «scocca la mezzanotte» (p. 26).
Tuttavia, il messaggio che, a mio parere, emerge (e che bisogna tener presente) da questo libricino riguarda lo scopo del racconto: tutta la narrazione che conduce al termine di un’indagine è strumentale, è in vista del vero fine. Chesterton lo dice nel secondo capitolo:
Il primo e fondamentale principio è che lo scopo di un racconto di mistero, così come di ogni racconto e di ogni mistero, non è l’oscurità bensì la luce. Il racconto è scritto per il momento in cui il lettore finalmente capisce, non per i tanti momenti preliminari nei quali non capisce […]. Il climax non deve essere lo scoppio di un palloncino ma semmai l’apparizione di un’alba.
Chesterton, Come si scrive un giallo, p. 29.

Di grande importanza il principio appena espresso che, assieme a quello della semplicità, definisce il modo di procedere di Chesterton anche nella sua produzione di racconti gialli.
Si ritorna così alla figura di padre Brown che, con i suoi modi impacciati, risolve il mistero illuminando il fondo oscuro da cui proviene il delitto: l’animo umano.
Giovanni Covino



Lascia un commento