J. G. Fichte. Ascetica come appendice alla morale

Quando udiamo la parola “ascetica”, il comune sentire ci porta a pensare una tecnica o una molteplicità di tecniche in grado di elevare il nostro animo distaccandolo dalle cose del mondo. È con Platone che il termine ἄσκησις (da cui deriva appunto la suddetta parola) inizia ad assumere questa connotazione morale, sicché l’esercizio, l’allenamento da mero strumento adottato per il raggiungimento del benessere fisico, diviene mezzo per «fuggire di qua colassù al più presto»[1]. L’avvento del cristianesimo, poi, non fa che definire questa posizione, supportandola però con una struttura concettuale metafisica specifica dove Principio e Fine dell’esercizio ascetico è il Dio personale che ha Egli stesso vissuto come vero uomo le fatiche della finitudine, proponendosi così come modello e guida per l’umanità[2].

Ora, ciò che mi preme sottolineare, con questi due riferimenti, concerne la consapevolezza che l’uomo tende ad un Assoluto e il suo sforzo nasce dalla coscienza di essere destinato ad un mondo che non è meramente fenomenico. È proprio alla luce di questa consapevolezza che – a mio giudizio – deve essere letto Ascetica come appendice alla morale del filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte.

Il testo – come si legge nella nota storico-critica di Maurizio Maria Malimpensa (traduttore e curatore del volume) – «deve corrispondere, in buona sostanza, alle pagine che Fichte aveva per le mani allorché tenne le lezioni dedicate a tale argomento presso l’Università di Jena». Trattasi quindi di un testo-guida per lo svolgimento di una spiegazione in un’aula universitaria, cosa questa che lo rende, almeno dal mio punto di vista, ancora più interessante nel vedere concretarsi in parole il pensiero fichtiano.

Riprendendo quanto dicevo poco sopra, le pagine che il filosofo dedica all’ascetica ruotano tutte intorno alla coscienza della nostra finitezza, da un lato, e al desiderio di piena felicità, dall’alto. Questo doppia concettualizzazione dà la possibilità – nella mia lettura – di unire il teoretico e il pratico, la filosofia e la vita. Difatti, se da un lato la coscienza della finitezza è frutto di una seria, rigorosa teoresi, una presa diretta della realtà che ci circonda e di cui noi stessi facciamo parte; dall’altro lato, l’aspirazione del cuore (nel senso biblico del termine) alla vera beatitudine è l’espressione più alta e autentica della praxis. Questo perché la ricerca non è, o non dovrebbe essere, limitata all’intelletto o alla volontà dell’uomo, ma è appunto ricerca dell’uomo: tale consapevolezza evita/eviterebbe al sapere di cacciarsi nell’angusto vicolo del limitante. Come dice Fichte, «il sapere non è fine ultimo, bensì l’uomo tutto intero nella sua formazione è per sé il fine ultimo» (p. 63). In questo senso, il sapere non deve diventare un mero «gioco spirituale» (p. 66), una sorta di trastullo intellettuale, ma un mezzo per il perfezionamento dell’uomo concretando ciò che è già nel nome “dar sapore”.

Il sapere, dunque – nei suoi diversi gradi: dalla quello relativo alla conoscenza primaria del senso comune fino ad arrivare al sapere della scienza e della filosofia[3] – potrebbe, anzi dovrebbe divenire uno strumento per la vera realizzazione della propria umanità. È in questo quadro concettuale che possiamo comprendere, a mio parere, il discorso fichtiano sull’ascetica, il cui «compito, determinato maggiormente, sarebbe perciò questo: trovare un mezzo per rammentarsi incessantemente del proprio dovere (p. 30). Per comprendere questo passaggio – come diceva il buon vecchio Kant – nulla è più utile di un esempio e Fichte segue questa strada nelle pagine centrali del volume:

«Il collerico – leggiamo – diviene facilmente violento in certe esternazioni; si mette allora senza dubbio a dire ingiurie, a dimenarsi e cose simili. L’ingiuriare, il menar busse e così via dipendono però senz’altro dalla libertà» (p. 43).

La libertà – come di evince dall’ultima riga – è principio dell’agire. Nel caso specifico, chi soccombe alla collera nasconde il proprio essere libero dietro il velo di una passione che poi si trasforma in una sorta di catena morale. Infatti, «in questo momento – conclude il filosofo – non è per lui possibile fare altrimenti» (p. 43), che è come dire: la passione ha preso il sopravvento sulla parte più nobile della natura umana chiudendo – fortunatamente non in modo definitivo – la libertà in una piccola stanza del suo animo. A questo punto, diviene necessario chiedersi: come uscirne?

«[S]arebbe per lui [per il collerico] ben possibile, se potesse rammentarsi di sé, della possibilità e della libertà. Ma a mancare è proprio l’intervento di quest’atto della riflessione» (p. 43).

È qui – come si può notare – che Fichte fa riferimento alla natura dell’ascetica e al ruolo fondamentale dell’Erinnerung:

«Il compito dell’ascetica sarebbe perciò: ricercare questo atto della libertà nei diversi affetti possibili, al fine di annodare a essi un contrappeso, di congiungervi uno stimolante della libera volontà, e attraverso ciò una rammemorazione del dovere» (p. 45).

L’Erinnerung fichtiano è, dunque, una rammemorazione della propria natura di essere libero, sicché l’uomo – tramite questo esercizio del ricordo – può nuovamente indirizzarsi verso se stesso e verso il suo vero Fine, rispondendo – e torniamo al punto iniziale – all’esigenza più profonda della sua nobile origine.

Giovanni Covino


[1] Platone, Teeteto, 176 b. Cfr. anche Fedone, 66 b ss.

[2] Faccio riferimento al concetto di Rivelazione. Per un approfondimento rimando agli studi storico-teoretici del filosofo francese Étienne Gilson, come il classico Lo spirito della filosofia medioevale, Morcelliana, Brescia 2009.

[3] A mio giudizio, è indispensabile riferirsi ai diversi gradi del sapere poiché l’uomo non ha atteso la scienza o la filosofia per essere uomo e per essere un uomo buono. Si possono conoscere grandi verità senza essere filosofi o scienziati e metterle in pratica, così come, al contrario, smarrire il senso del tutto pur svolgendo raffinate analisi teoretiche.

Lascia un commento



Segui il blog anche sulle maggiori piattaforme Podcast

Creato con WordPress

Giovanni Covino, autore e curatore del blog.