Questo racconto, come i precedenti (vedi sezione racconti), ha come protagonista un filosofo. Questa volta è il turno di René Descartes. Nato il 31 marzo 1596 e morto a Stoccolma, l’11 febbraio 1650, Cartesio (deriva da Cartesius, latinizzazione del suo cognome) è stato un filosofo e matematico, considerato il padre della filosofia moderna.
Tra le sue opere più importanti: Discorso sul metodo per ben condurre la propria ragione e cercare la verità nelle scienza (1637), Meditazioni metafisiche (1640), I principi della filosofia (1644) e Le passioni dell’anima (1649).

Nota è l’ipotesi del cosiddetto genio maligno – filo conduttore del racconto che andrete a leggere – un esperimento mentale usato dal filosofo francese per trovare la prima e indubitabile verità su cui fondare poi l’intero edificio della scienza. Per Cartesio, la prima e indubitabile verità è il pensiero: pur ammettendo l’esistenza di un genio maligno ingannatore, lo stesso inganno presuppone il pensiero. Da qui, da questo “nocciolo duro”, dalla primissima certezza del cogito, Cartesio parte per elaborare e costruire il suo sistema filosofico.
«Non v’è dunque dubbio che io esisto, s’egli m’inganna; e m’inganni fin che vorrà, egli non saprà mai fare che io non sia nulla, fino a che penserò di essere qualche cosa» (Meditazioni metafisiche, in Opere, vol. II, Laterza, Roma 1967, p. 24).
Come ricordato nei precedenti racconti, eccezion fatta per i riferimenti presenti in questa nota e quelli che pubblicherò alla fine, il racconto è il frutto della fantasia dell’autore.
Giovanni Covino



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