L’eredità longobarda. Un’indagine “fuori porta” del commissario Salaris, I

I.

Le immagini barocche della stanza erano un perfetto preludio della giornata che stava iniziando. Il commissario Salaris si apprestava a trascorrere un piacevole fine settimana nella splendida e amata Pavia. Ogniqualvolta poteva, Salaris lasciava le terre sabaude per dedicare qualche giorno ai suoi luoghi più cari e lì, in quella splendida zona di confine, poteva ammirare la grandiosità dell’arte e la bellezza della natura, godere di pacati silenzi, deliziosi pranzi e gioiose amicizie.

«Commissaaarrio, commissaaarrio» – una voce femminile si sentiva dalla strada proprio sotto la finestra del piccolo appartamento dove alloggiava il commissario.

«Mamma, ma quando scende?» – chiese la bambina che teneva la mano della donna.

«Arriva, arriva…l’ho appena chiamato…hai sentito» – rispose con paziente dolcezza.

Un uomo alto e magro sorrideva guardando quella piccola bambina fremere nell’attesa di Salaris. E si chiedeva cosa avesse mai di così magnetico quella figura schiva e solitaria. Era qualcosa di inspiegabile. Un marchio distintivo del commissario. Parlava di poche cose e con poche persone, ma aveva la capacità di intrattenere piacevolmente tutti, oltre che il dono di essere naturalmente simpatico ai più piccoli. Un vero mistero.

«Uffa, mamma…io voglio salire…».

La porta si aprì ed uscì il commissario che non fece in tempo a mettere il piede fuori che si trovò tra le braccia la bambina. Il commissario con un largo sorriso la prese in braccio e la salutò:

«Allora, piccola, che mi dici?».

«Niente, commisssario!» – disse la bambina sorridendo mostrando quell’amabile finestra tra il canino e l’incisivo.

«Come niente? La prima cosa da dire è che sei cresciuta tantissimo, Vittoria. La seconda cosa è che tuo papà, invece, è invecchiato…ma tanto…».

«Ti fai sempre aspettare, commissario» – disse l’uomo sorridendo e avvicinandosi.

«Come stai, Antonio?».

«Bene, bene. Sono felice di vederti».

«Ancheee iooo sono feglice…» – disse la piccola Vittoria.

«Paolo, appena abbiamo detto a Vittoria del tuo arrivo…si è trasformata…dobbiamo capire il motivo o non invitarti più…diventa ingestibile» – disse la donna sogghignando.

«Ciao, Annalisa…mi sa che dobbiamo proprio arrestare questa piccola monella» – rispose Salaris, tenendo la bambina con una mano e arruffando con l’altra i suoi capelli.

Quella domenica Salaris aveva come suo unico impegno quello di passare una piacevole giornata con i suoi amici di sempre. Era una di quelle mattine di fine gennaio: il sole mostrava timidamente la sua presenza e una leggera nebbiolina dava alla città il suo solito antico fascino. Salaris amava quelle giornate, amava passeggiare per la città, soprattutto se in compagnia di uno dei suoi amici (pochi a dire il vero) e della sua splendida famiglia.

Antonio era un agente di polizia che operava lì a Pavia da qualche anno. Aveva lasciato il commissariato di Torino dopo aver conosciuto Annalisa, un brillante avvocato della città lombarda. I due decisero di sposarsi nel giro di qualche mese con grande sorpresa del commissario, il quale si trovò in un pochissimo tempo ad essere testimone di nozze dei due e, dopo poco più di un anno, ad essere scelto dalla giovane coppia quale padrino della piccola Vittoria. Nonostante il dispiacere di non aver più a suo fianco un valido agente, Salaris non poteva che essere felice della vita che l’agente Grieco si era costruito, delle scelte fatte, soprattutto perché la distanza non aveva posto fine al loro sodalizio. Anzi, era stata rinforzata dalla presenza di Annalisa e della piccola Vittoria [continua].

Giovanni Covino

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Giovanni Covino, autore e curatore del blog.