Ritratti di filosofi. Emanuele Severino: negare l’infinito, parte 2

Ricevo e pubblico con piacere questa serie di articoli di Dario Rinaldi sulla riflessione teoretica di Emanuele Severino (1929-2020), uno dei più importanti filosofi italiani del XX e XXI secolo.

Il pensiero di Severino (nella foto a lato) si sviluppa come una critica radicale alla tradizione occidentale, proponendo, nella pars costruens, una filosofia centrata sull’eternità dell’essere, ispirata a Parmenide, ma reinterpretata in una forma originale e moderna. Rinaldi – autore tra l’altro di un imponente studio sulla struttura originiaria dell’essere (per maggiori informazioni clicca qui) – in questo saggio mette a nudo la fragilità teoretica della riflessione severiniana, analizzandola con acume e precisione logica [Giovanni Covino, autore e curatore di Briciole filosofiche].

Se non hai letto la prima parte:


La struttura severiniana, com’è noto, si fonda sulla relazionalità originaria (=identità) dei vari enti, di modo che la formula concreta (denotante l’esser sé dell’essente – come il filosofo bresciano suole ricordare nei propri scritti) di questa identità è:

                                                        A : B = B : A

Questa impone dunque che gli essenti siano e abbiano dunque l’essere se e soltanto in relazione del proprio altro. Ma è l’Essere Stesso a chiedere questo teorema, come si evince dalle pagine di Ritornare a Parmenide, e del relativo Poscritto:

«La parte che appare non è una positività che non sia inclusa nel tutto immutabile, giacché in quanto ciò che appare è un positivo, esso dimora, come ogni altro positivo, nell’onniavvolgente cerchio dell’immutabile. Ma in quanto la parte appare come non divorante nel tutto avvolgente, in quanto cioè non appare la concreta relazione della parte al tutto, la parte non appare così come è. E, poiché ciò che appare non può essere nulla che non sia nell’eterno, la parte appare in un mancamento, ossia nel suo essere mancante di ciò che pare in un mancamento, ossia nel suo essere mancante di ciò che possiede (o di ciò che l’attraversa) come parte in quanto avvolta nel tutto. La parte che appare sola, differisce da se in quanto avvolta nel tutto nel senso che viene a perdere (= nascondere) qualcosa di sé in quanto così avvolta» [1]

Ossia l’Intero, detto altrimenti l’Infinito, è il perimetro includente – originariamente, si deve aggiungere – tutti i significati (alias determinazioni). E in questo, è da precisare, l’Infinito trova la propria concretezza[2]. Sì d’aversi, analogamente a prima:

                                                      E  : e  = e  :  E

Dove appunto l’Infinito (Essere) è tale se e solo se in relazione all’essente, e viceversa l’essente è se e solo se in relazione all’Essere.

Questo passaggio mostra la distinzione che vi è tra pensiero severiniano e pensiero classico: per un metafisico tradizionale, difatti, la concretezza dell’Essere-Infinito equivale al suo porsi oltre l’esperienza – in ragione del fatto che questa non è satura dell’unità (=essere), bensì, in ragione del divenire e della molteplicità immanenti ad essa, chiede il porsi di un orizzonte trascendente, per l’appunto. Per il pensatore bresciano la concretezza equivale all’intima posizione dell’Infinito assieme al finito.

Ora, da una piana analisi del concetto di «Infinito» come realtà che è presente ovunque e di conseguenza non limitata (= determinata), che chiede per questo il porsi dell’Unità come non avente di contro alcuna Diversità, sì da estendersi illimitatamente (= infinitamente), la posizione severiniana, che s’è voluta proclamare come dottrina avente a tema l’Essere, e che pone l’intimo vincolo relazionale non solo degli essenti tra loro – ma altresì di questi con l’Essere, affinché esso sia concreto –  non cade forse in un’autocontraddizione eclatante, onde nega lo stesso concetto d’Infinito (Essere) facendolo dipendere dal finito?

Dario Rinaldi

[Continua]


[1] Ivi, p. 102

[2] La contraddizione [riguardante appunto l’affermazione della presenza dell’essere anche se non è ostensibile fenomenologicamente] è immediatamente tolta con il rilevare che l’essere, che non è F-immediato, è presente quanto alla sua forma, o al suo significato formale, ma non è immediatamente presente quanto al suo contenuto concreto; ed è appunto questa concretezza che è posta come altra dalla totalità del F-immediato […] Se il significato «essere» non si manifesta immediatamente come assorbito o esaurito dalle determinazioni F-immediatezza dell’essere, ma si libera originariamente per una determinazione ulteriore, dal punto di vista della strutturazione concreta dell’immediatezza bisogna aggiungere che quella liberazione o disponibilità originaria è anche originariamente vincolata o sfruttata: nella misura in cui appunto L-immediatamente affermato che l’essere oltrepassa la totalità del F-immediato. Purtuttavia quella disponibilità o liberazione originaria permangono ugualmente nella misura in cui quell’affermazione L-immediata dell’oltrepassamento non è, come si vedrà, esclusione originaria del progetto che l’essere oltrepassi la stessa dimensione dell’essere affermata in F-L-immediatamente; e, per altro verso, nella misura in cui quell’affermazione L-immediata l’oltrepassamento non è presenza del contenuto concreto dell’essere oltrepassante, sì che il significato «essere» resta disponibile per la presentazione di quel «contenuto concreto» (Ivi, pp. 286- 287).

Risposte

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Giovanni Covino, autore e curatore del blog.