Il racconto – come i precedenti (clicca qui per altri racconti) – è frutto di fantasia dell’Autore, anche se i personaggi principali sono realmente esistiti. Di seguito alcune note importanti per la comprensione del testo…[per leggere la Nota preliminare clicca qui]. Se non hai letto i capitoli precedenti:
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V.
Torino, 7 gennaio 1889
Il commissario Siccardi era in piedi. Il sole non era ancora sorto. Il buio avvolgeva Torino e la nascondeva agli occhi dei pochi passanti. Pensando alle parole di Salvatore del giorno prima, il pensiero del commissario andò a Nietzsche e al suo pianto. Siccardi attese, con pazienza, l’arrivo del giorno, poi sedette sulla sedia dello studio che aveva ospitato ancora una volta il suo sonno inquieto.
Nonostante l’apparente indifferenza, il commissario non era un uomo superficiale, soprattutto non era estraneo al dolore: come Nietzsche aveva ricevuto la sua buona dose di sofferenza dalla vita, ma questo lo aveva in qualche modo reso più forte; avevo affinato le sue capacità di comprensione dell’abisso umano.
Insomma, dietro quel volto bonario e poco interessato si nascondeva l’animo inquieto del cercatore del giusto e del vero. Il movimento dei pensieri di Siccardi, che si intrecciava come sempre con il vorticoso salire del fumo del sigaro, venne interrotto dal forte rumore della mano di un agente che bussava alla porta. Tutto era pronto per andare a casa dei coniugi Nietzsche.
…poco dopo
«Perché l’hai fatto?» – continuava a chiedere Friedrich. «Perché?».
Siccardi girò l’uomo e mise le robuste manette ai polsi, mentre Nietzsche attendeva ancora guardandolo, ma l’unica risposta che ottenne fu solo il silenzio. Dall’altro lato della stanza, Salvatore era fermo, senza dire una parola, ascoltava, guardava ancora una volta il triste epilogo di una triste storia. Era stato proprio lui a trovare il “pezzo” mancante. Sul foglietto, che aveva ancora in mano, le indicazioni erano scritte chiare, leggibili e Salvatore aveva seguito tutto alla lettera nonostante qualche dubbio. Il commissario anche questa volta aveva avuto ragione.
La porta era stato il primo campanello d’allarme: la mancanza di infrazione – nonostante le scheggiature – aveva portato il commissario ad escludere la presenza dei soliti agitatori del posto, poi, naturalmente, il fatto che nulla mancasse in casa Nietzsche; il secondo aspetto: l’uomo presente nel palazzo, un uomo che nessuno ha visto, un fantasma arrivato e mai uscito – almeno secondo le parole del portiere dello stabile. Il resto lo ha fatto Salvatore: aveva pedinato nei due giorni precedenti – seguendo le indicazioni – Nietzsche, tenuto d’occhio lo stabile e finalmente scoperto l’autore materiale del terribile delitto: l’andirivieni a notte fonda di un uomo lo aveva, difatti, insospettito, ma ha dovuto mettere in piedi un vero e proprio “teatrino” – così lo chiamava Salvatore – per far parlare l’uomo. Al termine di una serata a dir poco “movimentata”, l’uomo, sbronzo, confessò tutto: era stato assoldato per quel terribile omicidio.
Peter non faceva altro che restare con lo sguardo fermo, fisso su Friedrich: l’odio e la gelosia ancora vivevano nel suo cuore malato. L’odio e la gelosia lo avevano portato a trasformarsi nel perfetto amico che covava nel suo animo vendetta.
Vendetta per il rifiuto di Lou.
Vendetta per quello che considerava un affronto di Friedrich: portar via la donna che lui stesso amava.
Il commissario guardò con uno sguardo pieno di compassione Nietzsche. Strinse la mano sull’avambraccio di Peter e andò via. In silenzio. Lento.
***
…qualche giorno dopo
Erano passati pochi giorni dalla scoperta dell’assassino dell’amata Lou. Nietzsche si guardava allo specchio e vedeva solo un’ombra.
I grossi baffi poco curati scendevano e coprivano le labbra che nascondevano i denti ancora serrati dalla rabbia e dalla disperazione.
Erano state notti pesanti. Notti insonni, piene di domande. Quel giorno, però, crollò: era ormai preda della stanchezza, della disperazione più totale e cadde in un sonno lungo e disperato…
***
Jena, 25 gennaio 1889
«Friedrich, Friedrich…svegliati, svegliati, ti prego…».
La voce della donna rimbombava nella stanza, mentre continuava a strattonare Friedrich.
«Perché piangi? Svegliati…svegliati».
In quel momento, Nietzsche aprì gli occhi ancora bagnati dalle lacrime, guardò il viso della donna e disse: «Lou, sei proprio tu?».
«No, Friedrich, no. Sono io, Elisabeth».
Nietzsche ascoltò. Un attimo di lucidità. Comprese. Si girò sul letto, guardando le dolci colline che circondavano la clinica psichiatrica dell’Università di Jena. Pensò al sogno che aveva appena fatto…e alle parole mai dette, all’amore mai esistito, ma così desiderato, alla sofferenza di un sogno…
«Come stai?».
«Bene. Vorrei fare una passeggiata».
«Certo. Prepariamoci».
Elisabeth chiamò un infermiere e con il suo aiuto vestirono Nietzsche. Presero una sedia a rotelle e uscirono. Dopo settimane di ricovero, era la prima volta che Friedrich chiedeva di uscire.
Il sole alto brillava e i suoi raggi si posavano leggeri su ogni cosa. Rendevano l’aria tenue e incantata.
«È proprio una bella giornata, oggi. Vero?»
«Sì…» – disse Nietzsche con una voce flebile.
«Ti va di raccontarmi cosa stavi sognando?».

Il silenzio fu l’unica risposta. Passarono diversi minuti. Per Friedrich quasi un attimo eterno di dolore, mentre continuava ad osservare il paesaggio intorno e a sentire l’aria fredda sul viso. Chiuse gli occhi e assaporò quel dolce disperato momento di lucidità. Poi, con una voce calma e distesa, disse:
«L’amore porta alla luce le qualità elevate e nascoste di un amante, ciò che in lui è raro ed eccezionale: sì, ciò che è normale»[1].
Giovanni Covino

[1] La citazione è tratta da Al di là del bene e del male.
Nota: immagine di copertina generata con IA – WordPress; immagini di Nietzsche generate con Grok di X.
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