Una riflessione propedeutica ad un eventuale discussione epistemica sui limiti e il valore della ricerca storica

Ricevo e pubblico con piacere questo contributo su un tema complesso da sempre dibattuto: valori e limiti della ricerca storica. L’Autore, Mario Padovano, religioso che appartiene all’Ordine dei Predicatori, ci propone di riflettere, con sana realismo metafisico, su questo spinoso problema, affrontando le questioni più importanti: il valore del testo e del contesto, l’affidabilità del testimone e delle testimonianze, il problema di Lessing ecc.

Il contributo è diviso in cinque parti: 1) Preamboli epistemologici; 2) Un tentativo di risoluzione metodologica; 3) Una conseguenza su cui discutere: l’importanza della discussione fatta per gli stessi studi biblici e di storia della Chiesa; 4) Appunto per una logica della testimonianza; 5) Dichiarazione di incompiutezza di questo breve studio e sua apertura ad ulteriori discussioni e approfondimenti in merito.

Di seguito le parti terza, quarta e quinta. Se non hai letto le prime due, clicca qui.

Buona lettura [Giovanni Covino].


Terza parte: una conseguenza su cui discutere: l’importanza della discussione fatta per gli stessi studi biblici e di storia della Chiesa

Per gli studi biblici vale innanzitutto la massima agostiniana per cui «non crederei al Vangelo se non mi inducesse a ciò l’autorità della Chiesa cattolica» (Agostino, Contro la lettera di Mani che chiamano Fondamento,  cap. 5, par. 6) poiché detto teste è sempre attuale in ogni epoca proprio in quanto teste con i suoi motiva credibilitatis (segni oggettivi di ordine creativo e santificativo – i miracoli per intenderci) che sono empiricamente sempre verificabili e intellettualmente sempre decifrabili in base ai preambula fidei. La Chiesa risolve di per sé lo stesso problema di Lessing[1], perché la Chiesa agisce proprio come un “contesto” che non è solo passato, ma è presente attualmente con la sua autorità di origine soprannaturale, dove i segni di tale origine possono essere rinvenuti attualmente. È un contesto “storico” non semplicemente che è stato ma che è, vivo e operante nel suo stesso legame indissolubile con la sua Tradizione[2]. La Chiesa è l’ambiente in cui il testo è nato, è stato accolto, è stato tramandato e viene interpretato. In questo senso, la credibilità della Chiesa è massima anche riguardo alla storia di Sé che essa stessa narra ed insegna, poiché i suddetti segni di credibilità la accompagnano sempre. L’autorità della Chiesa fornisce una cornice ermeneutica che risolve il circolo vizioso. E questo non è un discorso di teologia sacra ma di logica della testimonianza applicata, dunque: un discorso filosofico. Infatti non si considera la Chiesa ad lumen fidei ma in quanto teste che presenta delle ragioni di credibilità.

Quarta parte: appunto per una logica della testimonianza

Infine, c’è da dire, come insegna Antonio Livi che: «tutte le possibili, ragionevoli certezze riguardo al passato saranno dunque sempre indirette e di ordine morale» (A. Livi, La ricerca della verità. Dal senso comune alla dialettica, Casa editrice Leonardo da Vinci, Santa Marinella [Roma] 2005, p. 279). E tale conoscenza della moralità di un teste si può evincere da una seria analisi critica delle testimonianze, anche ad esempio grazie alle interconnessioni tra diverse di esse e l’ausilio di altre discipline. Questo è importante sottolinearlo perché il realismo metafisico può ammettere uno scetticismo parziale. Non può ammettere quello totale e radicale.

La mia posizione infatti non è e non vuole essere una distruzione epistemica della ricerca storica ma un tentativo di far partire una indagine più rigorosa sulle sue condizioni di possibilità epistemologiche.

Lo studio della storia/delle storie è reso infatti impossibile invece proprio dallo storicismo (qui non solo epistemologico, ma preteso metafisico) che contrasto. Difatti:

1) se ogni uomo fosse chiuso, anche intellettualmente, in un’epoca storica, a sua volta chiusa in sé stessa, perché è chiuso il suo agente umano, allora nessun uomo potrebbe approcciare cognitivamente nessuna epoca storica, ma ciò vale anche per ogni singolo minuto o secondo o nanosecondo ecc. che passa, il che è assurdo perché non sapremmo nemmeno che qualcosa è passato e non potremmo afferrare nemmeno il presente e non avremmo nemmeno le nozioni di passato e presente che, invece, stiamo utilizzando sensatamente;

2) dal punto di vista metafisico, se non c’è un continuun ogni discretum sarebbe a sua volta impossibile perché divisibile all’infinito in discreta a loro volta attualmente divisi all’infinito, il che è assurdo;

3) se ogni epoca storica connota e denota un uomo diverso essenzialmente da quello di un’altra epoca storica non ha alcun senso parlare di uomo per tutti gli agenti epocali in questione ma in un’epoca ci sarebbe l’uomo nelle altre epoche altrettanti non-uomo, e allora non si dà storia perché non c’è alcuna possibilità di continuità dove la continuità non nega il cambiamento, ma presuppone comunque l’invarianza dell’essenza dell’agente appunto.

Quinta parte: dichiarazione di incompiutezza di questo breve studio e sua apertura ad ulteriori discussioni e approfondimenti in merito

Pronto a correggermi, questa breve riflessione tuttavia potrebbe diventare il punto di partenza per una ricerca epistemologica più sviluppata e vasta sui limiti e il reale valore della stessa ricerca storica. Inoltre, si faccia attenzione che l’argomentazione si situa ad un livello scientifico e non ha per fine attaccare od offendere nessuno sminuendone il lavoro, ma solo tentare una classificazione più rigorosa delle scienze, delle discipline di studio. Infine, non è possibile contro-argomentare con argomenti ad hominem per cui siccome non sono uno storico non potrei parlare di storia perché l’oggetto (inteso come tema, soggetto, di questo sia pur brevissimo studio, è la storia in quanto scienza e non gli eventi storici come avvenuti e succedutisi nel tempo). E ancora se un filosofo non potesse parlare di storia sarebbe impossibile la stessa storia della filosofia in quanto per fare una ricerca storica sui vari filosofi e le loro idee che si sono succedute nel tempo si deve pur ammettere che prima di ricercare si abbia almeno una nozione nominale di ciò che si sta cercando e quindi la nozione stessa di filosofia è previa alla stessa relativa ricerca storica.

Infine, c’è da considerare che il termine “storia” è diversamente usato: ci sono la storia geologica, la storia biologica, la storia della filosofia, la storia della matematica, addirittura la storia della storiografia, ecc. In tutti i casi, tuttavia, appare che la nozione comune nominale di “storia” è: studio del cambiamento nel tempo di particolari settori di realtà o particolari realtà, dove il tempo è cifra del divenire, come diceva Aristotele. Volendo, peraltro, si può parlare anche di storia di un sistema fisico (ad esempio, un sistema termodinamico). Non sembra essere un termine univoco, ma analogico. Per storia, dunque, è riduttivo intendere solo la storia degli eventi umani, anche se questo sembra essere l’analogato principale. Infine, si evince la necessità di superare l’obbligo di origine gentiliana per cui l’insegnamento della filosofia deve essere necessariamente collegato a quello della storia.

Mario Padovano, OP


[1]Noto anche come “la brutta, larga fossa”

[2]La Chiesa è, dunque, soggetto testimoniante e operante nel presente con massima autorevolezza. È una posizione vicina se non proprio identica a quella di J. Ratzinger/Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazareth. Da parte mia, ispirato dai lavori di Antonio Livi soprattuttto, suggerisco che la credibilità della Chiesa cattolica può essere valutata filosoficamente attraverso l’analisi dei suoi segni. La Chiesa non si limita a dire solo “questo è accaduto” ma anche “questo sta accadendo”

Le immagini sono generate tramite IA.

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Giovanni Covino, autore e curatore del blog.