Ricevo e pubblico volentieri questo contributo sulla riflessione di Karl Jaspers. Il pensiero di questo filosofo invita a recuperare una prospettiva più profonda: educare non significa soltanto formare professionalità, ma guidare l’essere umano a confrontarsi con i limiti dell’esistenza e a trovare in essi una possibilità di crescita. La sua pedagogia è, in questo senso, un’educazione al coraggio, capace di trasformare la crisi in rivelazione e il naufragio in occasione di verità.
L’Autore, Giuseppe Lubrino (1990), è un docente di religione e studioso del pensiero di Joseph Ratzinger. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze Religiose e attualmente insegna a Torre Annunziata. Collabora con diverse riviste culturali e teologiche e ha già pubblicato tre libri: Introduzione al pensiero di Joseph Ratzinger: una paideia cristiana (2023), In cammino per la Quaresima con Benedetto XVI (2025) e Giovani, Fede e Identità: Un Percorso di Crescita con Benedetto XVI (2025).
Buona lettura [Giovanni Covino].
In un tempo in cui l’educazione rischia di ridursi a mera trasmissione di competenze, Karl Jaspers ci invita a riscoprirne il significato più profondo: formare l’essere umano nella sua totalità, prepararlo al naufragio, aprirlo alla trascendenza, insegnargli a sviluppare coraggio.
Jaspers individua nella sofferenza, nella morte, nella colpa e nel fallimento le situazioni-limite che segnano l’esistenza. Non sono ostacoli da evitare, ma esperienze da vivere. L’educazione autentica prepara l’individuo a non spezzarsi, ma a trasformarsi. È qui che nasce la fortezza d’animo: nella capacità di stare dentro la crisi senza smarrirsi, di attraversare il naufragio e uscirne rinnovati.
Educare non significa proteggere dal conflitto, ma insegnare ad abitarlo. Il pensiero jaspersiano ci invita a vedere nel dissenso, nella tensione, nella frattura, un’occasione di crescita. Il conflitto diventa luogo di apprendimento: si impara a dialogare, a scegliere, a essere liberi. La fortezza d’animo non è resistenza passiva, ma azione consapevole, capacità di dare forma all’esistenza anche quando essa si presenta come frammento, come rottura.
Questa resistenza, per Jaspers, non è solo psicologica: è esistenziale. Si radica nella capacità di aprirsi alla trascendenza, di cercare senso oltre il visibile. Le cifre dell’essere — simboli, miti, immagini — educano alla profondità, alla meraviglia, alla speranza. Chi attraversa il naufragio con lo sguardo rivolto all’oltre, scopre una forza che non viene dal controllo, ma dalla fiducia.
L’educazione jaspersiana è pedagogia del coraggio. Rifiuta l’autoritarismo, promuove il pensiero critico, il dialogo, la libertà. L’insegnante non è un tecnico, ma un compagno di viaggio. La filosofia diventa esercizio quotidiano di coraggio di vivere: interrogarsi, dubitare, scegliere, ricominciare. In questo senso, educare è anche etica dell’esistenza: è aiutare l’altro a diventare se stesso, a non temere il limite, a riconoscere nella fragilità una possibilità di verità.
In un tempo segnato dall’incertezza e dalla fragilità, l’educazione non può limitarsi a fornire strumenti tecnici o competenze funzionali. Deve tornare a essere formazione dell’esistenza, come ci insegna Karl Jaspers. Educare significa accompagnare l’individuo nell’attraversamento delle sue situazioni-limite, insegnargli a non fuggire dal conflitto, ma ad abitarlo con consapevolezza.
Il coraggio e la fortezza d’animo che ne scaturiscono non sono un adattamento passivo, ma capacità di trasformare la crisi in apertura, il naufragio in rivelazione. È una forza interiore che nasce dal pensiero critico, dal dialogo, dalla ricerca di senso.
In questo orizzonte, l’educazione si fa etica, filosofica, trascendente: non forma solo cittadini o lavoratori, ma esseri umani capaci di esistere.
Riscoprire Jaspers oggi significa restituire all’educazione il suo compito più alto: insegnare a vivere.
Giuseppe Lubrino



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