“[…] O non sarà per caso che a fondamento degli enti si trova questa realtà immortale ed incessante, una chissà quale vita a disposizione di tutti gli esseri sussistenti in natura?”
Aristotele, Fisica [1]
L’idea cartesiana che la vita cosciente sia qualcosa di totalmente separato dalla vita corporea, come due sostanze diverse, res cogitans e res extensa, dove l’anima è una specie di fantasma nella macchina, ha prodotto diverse conseguenze che hanno influenzato le concezioni filosofiche e psicologiche odierne.
Cartesio, involontariamente, con il suo meccanicismo, è caduto in un dualismo insolubile fra anima e corpo, aprendo così la strada a due conseguenze opposte e estreme: il materialismo e lo spiritualismo. Infatti, se si considera la vita sensitiva degli animali secondo leggi puramente meccaniche, l’anima si riduce a una specie di colla che tiene unite le parti della macchina-corpo. Oppure si scade in uno spiritualismo esagerato perché, non essendovi alcun rapporto fra anima e corpo, si deve ricorrere all’intervento diretto di Dio, occasionale o previo, per spiegare qualsiasi azione umana (l’occasionalismo di Malebranche o l’armonia prestabilita di Leibniz).
La concezione aristotelico-tomista della natura e della vita, essendo fondata sul principio di atto-potenza e sull’ilemorfismo, annulla il dualismo cartesiano alla radice. La forma è un principio intrinseco di unificazione e organizzazione della materia per cui la forma fa sì che ogni cosa sia ciò che è. “La forma è atto della materia” [2]. E ciò che è attualizzato viene chiamato composto proprio per significare quest’unità (sinolo) di materia e forma che è la natura stessa di ogni ente creato.
Quale differenza, dunque, fra viventi e non viventi?
Fra mondo animato e inanimato c’è un salto ontologico molto difficile da spiegare quantitativamente, in quanto il problema non si risolve riducendolo a una maggiore complessità del primo rispetto al secondo. Ma, come scrive Carreño: “La questione riguardante la natura o l’essenza degli esseri viventi assume il suo pieno significato solo quando si ammette come dato di fatto che ens e vivens non sono coestensivi” [3].
Sia Aristotele sia San Tommaso osservando il mondo naturale si accorgono che gli elementi naturali o i minerali sono “non viventi” perché hanno un principio di movimento estrinseco, ossia non muovono se stessi ma sono mossi da altri.
E così diremo viventi tutti gli esseri che si determinano da sé medesimi al movimento o a qualche operazione: quegli esseri, invece, che per loro natura non hanno di potersi determinare da sé stessi al movimento o all’operazione, non possono dirsi viventi se non per una certa analogia [4].
L’anima dell’essere vivente unifica e struttura il sinolo che possiede quel principio di movimento intrinseco che chiamiamo vita. Tale principio è immanente agli esseri viventi e permette loro di movere se ossia di essere semoventi, anche se apparentemente non si muovono. Quindi il vivente è colui che ha la capacità di muovere sé stesso dalla potenza all’atto, in quanto la sua forma sostanziale essendo atto della materia causa il suo stesso movimento, che è appunto un auto-movimento. Questo è evidente sia nella vita vegetativa sia in quella sensitiva, e soprattutto in certe operazioni, come l’assimilazione, attraverso cui il vivente trasforma le sostanze nutritive in qualcosa di proprio arricchendo e accrescendo sé stesso. C’è quindi un principio immanente in tutti i corpi viventi che non si può ridurre a un mero meccanicismo per cui l’organismo vivente sarebbe una sorta di locomotiva guidata da un macchinista che accendendo il motore fa muovere i vagoni. Il vivente, anche se divisibile in potenza, non è un insieme di parti dove l’una muove l’altra, ma una sostanza unica perché ha un’unica forma sostanziale che unifica, organizza e presiede a tutte le sue operazioni specifiche, secondo la differenza delle specie. Questa forma sostanziale una è l’anima del vivente. Infatti, è dalle operazioni unitarie del vivente che si inferisce l’unità della sua forma sostanziale. È tutto il gatto che si muove, non solo una sua parte, perché è il gatto che compie l’operazione di cacciare il topo, ad esempio, e non gli elementi che lo compongono, come accade invece nelle reazioni biochimiche delle sostanze non viventi.
L’ anima è tutt’uno con la materia che informa, è immanente al corpo vivente e coordina tutte le sue attività vitali a quel fine unitario che caratterizza tutte le specie viventi ossia la conservazione della vita. Le operazioni determinano il modo specifico di esistere di ogni vivente che si muove sempre per un fine. Scrive infatti Tommaso:
Il fine muove l’agente; poi viene l’agente principale, il quale opera mediante la sua forma; e infine quest’ultimo talora opera mediante uno strumento, il quale non agisce in virtù della propria forma, ma in forza dell’agente principale: e a questo strumento conviene soltanto eseguire l’azione [5].
Il principio vegetativo, che rappresenta la vita allo stato più elementare, presiede a nutrimento crescita e riproduzione ed è comune a tutte le specie di viventi, incluse le piante. Quest’ultime, avendo solo questo principio, muovono sé stesse per crescere, ma non lo fanno attraverso l’acquisizione di una forma né in vista del fine. Non avendo infatti percezioni sensibili né intelletto, la forma e il fine sono loro dati dalla natura stessa che è il loro agente principale.
Il principio sensitivo, presente in animali e uomini, ha una perfezione superiore perché le sue operazioni implicano un movimento autonomo che comporta una certa conoscenza della forma da acquisire e che riguarda la facoltà estimativa; infatti, il principio del loro movimento è una forma acquistata mediante i loro propri sensi. L’anima sensitiva, dunque, presiede alle operazioni sensitive degli organi di senso e ai movimenti locali, tuttavia, non conosce il fine delle sue operazioni, esso è già impresso nella sua natura. Se una bestia ha bisogno di percepire una preda per mangiarla, di certo non sa di fare delle operazioni per la conservazione della sua specie, ma agisce per istinto ossia secondo la sua natura. E tale essenza, composta di materia e forma, è diversa da quella del cane, e fa sì che noi diciamo che la natura del gatto comporta delle attività tipiche del gatto che non sono quelle del cane.
Come scrive San Tommaso, “la natura di ogni essere si rivela nelle sue operazioni” [6]. Perciò la forma del gatto, la sua anima sensitiva, essendo legata in tutte le sue attività ai sensi materiali si corrompe insieme al corpo, non è sussistente.
L’anima razionale, invece, che è la forma sostanziale di un corpo umano, è un principio intellettivo superiore, a livello ontologico, a tutte le altre forme corporee, in quanto ha la capacità non solo di agire autonomamente attraverso le forme conosciute coi sensi ma anche di scegliere deliberatamente il proprio fine grazie alle operazioni intellettive. E tali operazioni non necessitando del corpo, ma essendo indipendenti da esso, non possono provenire dalla materia. Come scrive Garrigou Lagrange, “il più non viene dal meno” [7], il superiore non può venire dall’inferiore. L’attività dell’anima intellettiva eccede i limiti del corpo in quanto noi esseri umani possiamo pensare infiniti pensieri e desiderare infiniti beni, cosa impossibile coi sensi che sono limitati dagli organi sensitivi: gli occhi non possono vedere tutto, e la stessa cosa vale per orecchie, naso, ecc. Quindi l’anima intellettiva deve essere causata necessariamente da una forma sussistente superiore, secondo il principio di ragion sufficiente.
Piera Rossella D’Arcangelo
segue
[1] Aristotele, Fisica, Libro VIII, 250b11-15, Bompiani, Milano,2022.
[2] San Tommaso D’Aquino, Somma Teologica, I, qu.105, a.1, carimo.it.
[3] Juan Eduardo Carreño, “From Self Movement to Esse: the Notion of Life and Living Being in Thomas Aquinas”, p. 349, in Angelicum, vol.92, no.3, 2015, pp. 347-376, JSTOR, https://about.jstor.org/stable/2639 2516.
[4] San Tommaso D’Aquino, Somma Teologica, I, qu.18, a.1, res., carimo.it.
[5] San Tommaso D’Aquino, Somma Teologica, I, qu.18, a. 3, res., https://www.carimo.it./somma-teologica/somma.htm.
[6] Ibidem, I, qu.76, a.1, res.
[7] Réginald Garrigou-Lagrange, Dio accessibile a tutti, p. 33, Fede & Cultura, Verona, 2024.



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