Come si diceva (se non hai letto la prima parte, clicca qui), le operazioni degli esseri viventi ci dicono qualcosa dell’essere di questi enti. “Agere sequitur esse.” Nulla può agire se non è in atto, quindi le attività di un vivente devono essere conformi al modo di esistere di un vivente.
Ora, nessuna cosa può operare per sé stessa se non sussiste per sé stessa. L’operazione, infatti, non compete che all’ente in atto: per cui una cosa opera in conformità al suo modo di esistere [1].
Le operazioni procedono dall’esistere e dall’esistere in un determinato modo, ossia dall’attuazione dell’essenza da parte dell’actus essendi. Spiega infatti Carreño: “L’essenza o la natura non preesiste come una “cosa”, ma può iniziare la sua esistenza solo quando partecipa all’atto dell’essere, e precisamente nella misura in cui è in grado di ricevere questo atto fondamentale.Pertanto, se «vivere», come afferma Tommaso, è esse in tali natura, se ne potrebbe dedurre che per l’essere vivente la sua vita è in ultima analisi l’esse che attua la sua essenza” [2].
Allora questo ‘modo di esistere volto a conservare la vita’, impresso nelle forme sostanziali di tutti gli esseri viventi, questo vivere non è “nient’altro che esse in tali natura“. In questo senso, secondo la dottrina dell’Angelico, il vivere sarebbe l’actus essendi dell’essenza del vivente, in tutti i suoi gradi, anche nelle piante e nelle bestie, in quanto, educendo la forma dalla materia, è l’atto d’individuazione della materia. Ma, mentre per questi la forma è corruttibile come la materia da cui è stata edotta, la forma sussistente che è l’anima umana, è prodotta “per creationem” ex nihilo da Dio.
Benché in un senso meno perfetto dell’uomo, questi esseri sono anch’essi sostanze e il loro modo di agire è vitale non solo per la sua spontaneità, ma anche per la sua immanenza. Le loro forme sostanziali, tuttavia, possono partecipare all’atto dell’essere solo mentre stanno attualizzando i composti corrispondenti, e quindi, una volta avvenuta la corruzione, non c’è più sostanza, e quindi non c’è più vita [3].
Nei viventi l‘atto d’essere attua la loro natura nella capacità di nutrirsi, sentire e pensare da sé. Queste sono le operazioni specifiche del vivente in quanto in atto. Il concetto di vita, quindi, è strettamente collegato a quello di esse. Infatti, secondo la visione aristotelico-tomista, la vita o, meglio, il vivere è una perfezione che erompe dall’esse che Dio partecipa ai composti attraverso la loro forma sostanziale.
L’essere vivente è in grado di esercitare ciò che abbiamo descritto come un’attualità spontanea perché la sua essenza partecipa all’esse con tale perfezione che è in grado non solo di esistere in atto, ma di compiere atti da sé e per sé. Seguendo Henri Renard, possiamo dire che l’attività vitale non è che l’efflorescenza dell’attualità [4].
Dio quindi, poiché in Lui esse e essentia coincidono, è il suo essere e il suo vivere. Dio non è un vivente migliore ma è la Vita per essenza in quanto essa è una perfezione del suo stesso esse. E in quanto Atto puro è la causa efficiente della vita di tutti i viventi.
Seguendo lo Pseudo-Dionigi, potremmo dire che il dio vive, ma non nel senso in cui si dice che le creature vivono, ma nel senso che tutta la vita che si trova in esse preesiste prematuramente in Dio come sua causa. Dio è la vita illimitata e la causa di tutta la vita [5].
Fra la Vita che è Dio e il vivere dei viventi c’è dunque un’analogia di attribuzione perché, se il vivere è l’esistere del vivente in quanto perfezione di questo esistere, il vivente è tale perché partecipa della vita divina che causa in lui quell’essere che include la vita. E allo stesso tempo il vivente” vive in” questa Vita che è l’essenza stessa di Dio.
Le creature sono in Dio in due modi: primo, in quanto la potenza divina le domina e le conserva, nello stesso senso in cui diciamo che sono in noi quelle cose che sono in nostro potere. E così si dice che le cose sono in Dio anche in quanto esistono nella realtà. E in questa maniera va inteso il detto di San Paolo “in lui viviamo ci muoviamo ed esistiamo” poiché per noi l’essere, la vita e il movimento provengono da Dio [6].
Questa Vita partecipata da Dio al vivente non è la natura dell’ente vivo, altrimenti il vivente sarebbe Dio. Le creature essendo composte non possono imitare la semplicità divina; infatti, l’actus essendi della causa superiore non potrebbe rimanere negli effetti inferiori, qualora Dio cessasse il suo atto.
Gli effetti di Dio somigliano a lui non perfettamente ma per quanto è possibile. E tale imitazione è imperfetta, proprio perché non si può rappresentare ciò che è semplice ed uno se non per mezzo di molte cose [7].
Posta questa distinzione metafisica è impossibile inferire, come spesso vediamo, che siamo i padroni della nostra vita; in quanto si dice che uno è padrone di qualcosa quando di quella cosa ne può disporre completamente e autonomamente. Come esseri umani “abbiamo” la vita ma non “siamo” la vita. Un’azienda costruttrice di computers, fino a quando non li vende, è padrona assoluta di essi e ne può disporre totalmente. Se volesse, infatti, li potrebbe distruggere così come li ha creati. Noi certo possiamo disporre completamente dei nostri artefatti, invero siamo noi a dare loro una forma, ma la forma della nostra vita che è “l’esistere come viventi” non l’abbiamo creata noi. E neppure la possiamo conservare perché l’esse non appartiene alla natura umana come ad esempio la razionalità, ma solo a Colui che è l’Ipsum esse subsistens. Infatti, solo colui che è Puro Atto è la Vita stessa ed è totalmente autonomo, in quanto l’esistenza non la riceve da nessuno.
“…io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Giovanni 10, 17-18).
Egli è il padrone di ogni vita che partecipa alle sue creature, le quali per il fatto stesso di essere composte presentano necessariamente una potenzialità che, se non è attuata e conservata nell’esse dalla Causa prima non è in grado di sussistere da sé.
Il Motore supremo ci chiama all’esistenza, ci sostiene in essa e allo stesso tempo ci muove verso il fine, ossia ci attira incessantemente a Sé, affinché realizziamo noi stessi in Lui. La causa efficiente coincide con la causa finale in questo movimento di exitus- reditus che in qualche modo è la forma della nostra esistenza terrena.
E se l’attività vitale, come suggerisce lo studio di Carreño, è “un’efflorescenza dell’essere”, cioè un’eruzione di essere o una fioritura dell’esistenza, allora credo che la nota poesia di Nikos Kazantzakis possa comunicarci un aspetto della profondità metafisica del reale:
“La quercia chiese al mandorlo: parlami di Dio. E il mandorlo fiorì.”
Piera Rossella D’Arcangelo
[1] San Tommaso D’Aquino, Somma Teologica, I, qu.75, a. 1, res., https://www.carimo.it./somma-teologica/somma.htm.
[2] Juan Eduardo Carreño, “From Self Movement to Esse: the Notion of Life and Living Being in Thomas Aquinas”, p. 359, in Angelicum, vol.92, no.3, 2015, pp. 347-376, JSTOR, https://about.jstor.org/stable/2639 2516.
[3] Ibidem, pp. 372-373.
[4] Ibidem, p.367.
[5] Ibidem, p.369.
[6] San Tommaso D’Aquino, Somma Teologica, I, qu.18, a. 4, ad.1, https://www.carimo.it./somma-teologica/somma.htm.
[7] Ibidem, I, qu.3, a.3, ad.2.
BIBLIOGRAFIA
Aristotele, Fisica, Bompiani, Milano,2022.
San Tommaso D’Aquino, Somma contro i Gentili, Libro I, UTET, Torino,1975.
San Tommaso D’Aquino, Somma Teologica, I, https://www.carimo.it./somma-teologica/somma.htm.
Juan Eduardo Carreño, “From Self Movement to Esse: the Notion of Life and Living Being in Thomas Aquinas”, Angelicum, vol.92, no.3, 2015, pp. 347-376, JSTOR, https://about.jstor.org/stable/2639 2516.
Réginald Garrigou-Lagrange, Dio accessibile a tutti, Fede & Cultura, Verona, 2024.
LUCAS PRIETO: ¿Por qué la conservación es necesaria? Una respuesta tomista a la inercia
existencial TheoLogica. An International Journal for Philosophy of Religion and Philosophical
Theology. 14 (2023), pp. 1-18. DOI: https://doi.org/10.14428/thl.v7i1.66723



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