Ritratti di filosofi: Jean-Paul Sartre. Metafisica e libertà: il fascino di una “filosofia senza Trascendenza”

Jean Sartre Jean-Paul (1905-1980) è stato un romanziere, un drammaturgo e tra i più importanti filosofi francesi del Novecento. La sua riflessione si riallaccia alla fenomenologia di Edmund Husserl e all’analitica esistenziale di Martin Heidegger.

La sua opera principale è del 1943 e s’intitola L’essere e il nulla. Vanno, inoltre, segnalati altri scritti sia filosofici che letterari come La nausée (1938), Le mur (1939), Les mouches (1943), L’existentialisme est un humanisme (1946).

La caratteristica principale dell’esistenza è, per il filosofo francese, la libertà: l’uomo – dice – è condannato alla libertà e la sua esistenza di essere libero è l’unico suo costituente metafisico. Da qui la nota espressione sartiana: l’esistenza precede l’essenza. Non esiste una natura metafisica precostituita: l’uomo, “gettato” nel mondo, deve scegliere chi essere e, quindi, cosa fare. Egli crea la propria essenza.

Questa responsabilità porta l’uomo all’angoscia: è il peso della scelta e dell’impegno che l’uomo ha nella storia. Gli uomini che non sentono tale peso fuggono da se stessi, una fuga che Sartre definisce «malafede». Si potrebbe dire, in termini kierkegaardiani, che l’uomo in “malafede” vive un’esistenza inautentica.

In L’esistenzialismo è umanesimo, Sartre sviluppa, inoltre, una «morale dell’azione e dell’impegno», definendo l’esistenzialismo una «filosofia umanista dell’azione, dello sforzo, della lotta, della solidarietà». Sarte auspica, quindi, una cooperazione della libertà e un progetto morale in cui l’uomo è centro e costruttore di valore. Escludendo da questo progetto Dio.

Il discorso metafisico risulta, per tale ragione, monco: ciò che si dice sulla finitezza del mondo (la necessità del Fondamento) vale anche per l’agire: infatti, dato che ogni azione è fatta in vista di un fine, la presenza del Fine ultimo è metafisicamente necessaria.

Ecco quanto dice Jean-Paul Sartre:

«La realtà-umana non può ricevere i suoi fini, come abbiamo constatato, né dal di fuori né da una pretesa “natura” interna. Essa li sceglie e, con questa scelta, conferisce loro un’esistenza trascendente come limite esterno dei suoi progetti. Da questo punto di vista – e, beninteso, ammesso che l’esistenza del Dasein proceda e governi la sua essenza – la realtà-umana, nel suo stesso nascere, decide di definire il suo essere proprio mediante i suoi fini. È dunque la posizione dei miei fini ultimi che caratterizza il mio essere e che si identifica con lo scaturire originale della libertà che è mia».

J. P. Sartre, L’essere e il nulla, Mondadori, Milano 2005, pp. 10-511

L’evidente negazione della natura dell’uomo per evitare di imporre limiti alla libertà è, in verità, la negazione della libertà stessa perché la libertà è libertà dell’uomo e quando si afferma ciò necessariamente si fa riferimento ad una particolare natura metafisica che lungi dal limitare, ci permette di comprenderla realmente e, di conseguenza, agire senza cadere in un esasperato soggettivismo.

Giovanni Covino

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