Propongo ai lettori di Briciole filosofiche un estratto della postfazione di Antonio Livi al volume: Cornelio Fabro, Edith Stein tra Husserl e Tommaso d’Aquino, Roma 2013). Questo breve testo di Livi fa comprendere bene «quale sia l’esempio di amore appassionato della verità, di costante fermezza nella testimonianza della fede, di eroismo nel servizio del prossimo» di Edith Stein. L’estratto è tratto dal primo paragrafo della postfazione di Livi che, nelle pagine di questo denso scritto, analizza il valore ma anche i limiti dell’indagine filosofica di Edith Stein che si trova, come recita il titolo del volume, tra Edmund Husserl e Tommaso d’Aquino [Giovanni Covino].
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La figura di Edith Stein, che questo saggio di Cornelio Fabro presenta in tutta la sua grandezza spirituale, merita indubbiamente di essere riconsiderata oggi alla luce delle vicende ecclesiali, culturali e politiche degli ultimi decenni, dopo che la bibliografia sulla Santa si è arricchita di numerosi e qualificati contributi agiografici, storiografici, sociologici, filosofici e teologici. tra questi, il più importante è senza dubbio l’accenno che il papa san Giovanni Paolo II fa a Edith Stein quando, nell’enciclica Fides et ratio (14 settembre 1998), rivendica la legittimità filosofica e teologica della nozione di “filosofia cristiana” e ne tratteggia la vicenda storica, nella quale colloca anche l’opera della filosofa tedesca (cfr § 74).
Il testo di Fabro fa comprendere molto bene quale sia l’esempio di amore appassionato della verità, di costante fermezza nella testimonianza della fede, di eroismo nel servizio del prossimo (la famiglia, i colleghi, il popolo ebraico dal quale proveniva, i membri della Chiesa cattolica che l’aveva ricevuta nel suo seno, le consorelle carmelitane con le quali visse la terribile esperienza della per-secuzione nazista, fino al tragico epilogo dell’uccisione in odio alla fede).
La lettura di questo testo consente di intravedere, per ciascuno di noi, una via d’uscita dal labirinto del dubbio sistematico e dell’incredulità ostinata che sembrano toglierci la possibilità di disobbedire agli stereotipi dominanti nella cultura di oggi, impedendoci di accogliere liberamente e consapevolmente la verità rivelata. Edith Stein, con il cuore pieno di amore sincero per il prossimo e la mente limpidamente orientata alla verità, ci insegna a uscire dal labirinto. Lei non chiuse gli occhi alle tragedie, apparentemente irreversibili, che sembravano far sprofondare nel male l’intera società europea, con la virulenza dell’odio razziale, con i crimini dei vari totalitarismi (quello sovietico, quello fascista, quello nazista), con la scristianizzazione, l’irreligiosità e il neopaganesimo ormai egemoni nella cultura delle élite intellettuali. Ma lei comprese che ognuno di noi può riuscire, alla fine, a capire di dover confidare sempre e solo nell’amore onnipotente di Dio, nostro Padre e Signore della storia, «giudice dei vivi e dei morti». L’unica e vera via d’uscita, per noi come per la Santa, è la “sapienza della Croce”, ossia la fede in Cristo che offre a ogni uomo di ogni tempo i frutti della sua Redenzione, la possibilità cioè di affrancarsi da ogni condizionamento esteriore e di seguire la propria coscienza, realizzando liberamente nella propria personale esistenza la volontà di Dio, «il quale vuole che ogni uomo sia salvato e giunga alla conoscenza della verità» (Prima lettera di Paolo a Timoteo, 2, 3).
Queste sono le considerazioni su Edith Stein suggerite dalla monografia che Cornelio Fabro scrisse dopo che la pensatrice ebrea, divenuta suor Benedetta Maria Teresa della Croce, era stata beatificata da Giovanni Paolo II, e prima che il medesimo Pontefice la dichiarasse santa come martire della fede. Il religioso stimmatino, studioso di fama internazionale, tratta l’argomento anzitutto da teologo, valutando gli scritti della Stein dal punto di vista dell’ortodossia cattolica, ma non senza aggiungere importanti e impegnative considerazioni anche dal punto di vista filosofico. A Fabro, in questa sede, interessa mettere in luce la figura luminosa di questa grande intellettuale europea, che tanto ha da insegnarci su come affrontare le sfide della società moderna, bisognosa di Dio eppure così pronta a dimenticarlo, a “metterlo tra parentesi”, sostituendo ai valori eterni della verità i valori contingenti delle ideologie, sempre in qualche modo legate agli interessi del potere politico. Commentando lo scritto di Cornelio Fabro, io mi propongo di rilevare soprattutto ciò che si riferisce propriamente alla filosofia cristiana di Edith Stein, perché il discorso sui risultati contenutistici della sua ricerca teoretica non può e non deve essere il medesimo discorso che è doveroso fare sulle intenzioni che animavano quella sua ricerca, culminata con la rivalutazione della validità di una filosofia vissuta alla luce della verità rivelata e in simbiosi con la teologia Cornelio Fabro intuisce che la proposta di Edith Stein è valida e condivisibile perché parte da una nozione criticamente adeguata della filosofa come “ermeneutica dell’esperienza”, ossia come vera e propria scienza metafisica.
Io aggiungo che, a mio avviso, la pensatrice tedesca ricorre – senza averli potuto ancora teorizzare, date le circostanze storico-culturali nelle quali si trovò a operare in campo filosofico – ai principi della logica aletica, in particolare al principio che io chiamo “olismo aletico” o “principio di coerenza” e che postula la necessità di collegare materialmente ogni affermazione con pretesa di verità a tutti i suoi presupposti di verità tra questi presupposti, quelli soprattutto riguardanti i praeambula fidei – che costituiscono il fondamento razionale della fede nella Rivelazione – non possono non essere tenuti costantemente presenti da chi fa filosofia cercando la pienezza della verità naturale con la dialettica della ragione che riflette sull’intero dell’esperienza ma utilizzando anche la luce delle verità soprannaturali alle quali ha avuto accesso con la conoscenza di fede.
Stein lo ha compreso molto bene, e per questo Fabro sintetizza in questi precisi termini la concezione della filosofia cristiana che è propria di Edith Stein:
«Poiché la fede dischiude verità che per altra via non si potrebbero ottenere, allora la filosofia non può rinunciare a queste verità di fede senza venir meno anzitutto alla sua esigenza universale di verità e poi senza esporsi al pericolo che anche nella consistenza della conoscenza, ch’è la sua proprietà, non s’insinui la falsità, poiché nella connessione organica di tutta la verità ogni contenuto parziale può essere portato in una falsa luce se la connessione è tagliata fuori dal tutto. Di qui, è la prima conclusione secondo la Stein, si deve ammettere la dipendenza materiale della filosofia dalla fede».
Antonio Livi
