Propongo ai lettori di Briciole filosofiche questo interessante articolo di M. Padovano sulle geometrie non euclidee con una breve analisi critica della teoria kantiana dello spazio. Buona lettura!
Dai postulati che Euclide utilizzò nei suoi Elementi, si può facilmente intuire come mai il quinto postulato sia stato fonte di dibattiti per duemila anni. I postulati sono :
1) tra due punti qualsiasi è possibile tracciare una e una sola retta;
2) si può prolungare un segmento oltre i due punti indefinitamente;
3) dato un punto e una lunghezza, è possibile descrivere una circonferenza;
4) tutti gli angoli retti sono congruenti fra loro;
5) se una retta che taglia due rette determina dallo stesso lato angoli interni minori di due angoli retti, prolungando le due rette, esse si incontreranno dalla parte dove i due angoli sono minori di due retti. In altri termini: per un punto esterno ad una retta data passa una e una sola parallela alla retta data.
Mentre i primi quattro sono per sé evidenti e quindi li si può dimostrare per assurdo, l’evidenza del quinto pone qualche problema, perché sembra presupporre una nozione meta-geometrica di spazio non dimostrabile. Infatti per potersi due rette incontrare, data la condizione dell’estensione dei due angoli, si necessita del presupposto dello spazio infinito. Lo stesso Euclide, storicamente, sembra essere stato a disagio circa l’utilizzo di questo quinto assioma. Infatti ha dimostrato le prime 28 proposizioni del I libro degli Elementi senza considerare il quinto postulato. Questo significa innanzitutto che esso non è fondamentale e non essendo fondamentale non si capisce come mai è stato considerato un postulato nella matematica classica, ossia un principio di dimostrabilità circa i teoremi conseguenti. L’impossibilità poi che hanno avuto i matematici e anche i filosofi (ad esempio: Proclo, Nasir al-Din al-Tusi, ʿUmar Khayyām, Lagrange, ecc.) nel corso dei secoli a dimostrare apoditticamente il suddetto postulato, ha portato altri studiosi e ricercatori a costruire, con successo, geometrie alternative. È il caso di Riemann, Lobacevskij, Beltrami, Poincaré. A questo punto, una delle domande filosofiche che si impone riguarda la stessa nozione di spazio. Sembra che si suggerisca che non la nozione di estensione presupponga quella di spazio ma al contrario: la nozione di spazio presuppone quella di ente esteso e prima ancora la stessa esperienza originaria di quest’ultimo, così come avviene nella metafisica classica di stampo aristotelico-tomista. Inoltre potendo variare lo spazio preso in considerazione, non è ammissibile un’unica tipologia di spazialità. Questo sconfessa e la teoria newtoniana dello spazio assoluto, e la teoria kantiana dello spazio come forma a priori della sensibilità e condizione necessaria dell’esperienza stessa. Come sappiamo Kant indentifica certi presupposti della meccanica newtoniana con le leggi della ragione sempliciter (cfr. S. Vanni Rovighi, Introduzione allo studio di Kant, p. 95) e sappiamo come per dimostrare la sua teoria della rappresentazione dello spazio quale fondamento dell’esperienza dei corpi estesi e delle loro relazioni, presuppone una teoria dello spazio unico e generale (si veda ad esempio Dissertazione del ’70 e Critica della Ragion Pura). Ora ciò costituisce un presupposto falso. E questo per una ragione fondamentale: come per fare esperienza dell’oggetto colorato non si deve affatto presupporre la nozione generale di colore, così per fare esperienza di un oggetto esteso non devo presupporre quella di spazio. Se così non fosse, non si potrebbero prendere in considerazione altri tipi di spazialità, come invece fanno appunto le geometrie alternative, perché la mente sarebbe inevitabilmente “legata” a quella sola rappresentazione sensibile di spazio.
Fr. Mario Paolo M. Padovano op