La questione della creazione, tra cosmologia scientifica e metafisica

Propongo ai lettori del mio blog, questo articolo di M. Padovano sulla nozione di creazione. Interessanti osservazioni che partendo dal mondo della scienza c.d. positiva giungono al cuore della riflessione filosofica: l’esistenza della causa prima della realtà [Giovanni Covino].


In cosmologia abbiamo in particolare due opposte cosmovisioni: la teoria del disegno intelligente con l’argomento antropico e del fine-tuned universe da un lato e dall’altro della teoria della coincidenza fortuita. Accenneremo soltanto a queste visioni perché, come si potrà facilmente vedere subito, esse sollevano problematiche che poi le trascendono: problematiche essenzialmente meta-scientifiche, ossia metafisiche. Per quanto riguarda questa contrapposizione tra Intelligent Design e coincidenza fortuita diciamo che essa è un problema che riguarda nozioni che le scienze particolari (o seconde) come la fisica, l’astrofisica, ecc.., possono sollevare ma non risolvere perché riguardano non cause particolari ma le cause degli aspetti più universali. Le nozioni in questione sono quelle di finalismo, causalità, caso, ordine. Tuttavia possiamo notare che i dati evidenti non vengono smentiti da nessuna delle due visioni in questione. Entrambe accettano che c’è un ordine e una regolarità strutturale nell’universo e nei diversi sistemi (dalla più piccola composizione subatomica alla più grande delle galassie, dalle cellule alla dinamica dei buchi neri, nel microcosmo così come nel macrocosmo). Un concetto chiave è quello, a tal proposito, di “complessità irriducibile” introdotto da Michael Behe nel 1996 in Darwin’s Black Box. Behe sostiene:

«a single system which is composed of several well-matched interacting parts that contribute to the basic function, wherein the renoval of any one of the parts causes the system to effecively cease functioning».

Tale nozione non è messa in dubbio da alcuno perché risulta essere una evidenza immediata così come la teoria dell’universo finemente regolato.

Steven Hawking, che non è un propugnatore dell’Intelligent Design, ammette a sua volta in Dal Big Bang ai buchi neri:

«Il fatto notevole è che i valori di questi numeri [cioè le costanti fisiche] sembrano essere stati molto finemente regolati per rendere possibile lo sviluppo della vita».

Attestato dunque che sul dato della regolarità e dell’ordine dell’universo sono tutti d’accordo, dobbiamo chiederci cosa separa i diversi scienziati tra loro. Ebbene li separa l’individuazione della causa prima di questo ordine: per gli uni è Dio, per gli altri la coincidenza fortuita, il caso.

A noi ora spetta discutere appunto la questione “se il caso possa causare l’ordine” e determinare il vero concetto di creazione.

Primo punto: il caso non può determinare l’ordine perché per esserci un evento causale occorre che ci siano enti con la loro intrinseca operatività, ossia con la loro natura che è principio di operazione e dunque di finalità: omne ens agit propter finem. Ad esempio: per avere in giardino delle piante  disposte a caso, ho bisogno delle piante innanzitutto, della terra, degli attrezzi per lavorare, della mia mente, del mio corpo, ecc., e tutte queste cose con le loro intrinseche funzionalità, perché se non le avessero non potrebbero essere nemmeno usate per ottenere l’effetto desiderato che nella nostra ipotesi è quello delle “piante disposti a caso”. Come si può facilmente notare, è il caso che suppone l’ordine e non viceversa, che suppone il finalismo intrinseco delle cose.

Secondo punto: da quello che possiamo notare risulta abbastanza evidente che le scienze cosiddette empiriche possono solo maggiormente confermare le prime evidenze che sostengono la riflessione metafisica da quando Aristotele l’ha definita “scienza dell’ente in quanto ente”. Inoltre i risultati scientifici, stando alle più recenti indagini sulla struttura della materia, del micro e del macrocosmo, danno una valida conferma delle basi da cui muovono le stesse prove tomistiche dell’esistenza di Dio in due direzioni: la finalità e la mutabilità e quindi la contingenza delle cose. E’ così che esse, non solo si basano, ma addirittura riaffermano con maggior vigore quelle che Antonio Livi (si veda La ricerca della verità, Metafisica e senso comune) chiama le evidenze del senso comune e che Garrigou-Lagrange in Le sens commun definiva, contrariamente a Thomas Reid e alla scuola scozzese, come intelligenza primordiale e fondamentale. Del resto nessuna scienza che pretende di essere reale può mai smentire l’evidenza immediata del mondo che studia secondo un suo dato aspetto. Tra queste evidenze c’è appunto quella del divenire e dell’ordine del mondo. Sappiamo che specialmente la prima via e la quinta si muovono a partire da queste constatazioni. La riflessione meta-fisica ci impone di analizzare il divenire in quanto tale e l’ordine in quanto tale per risalire all’ultima fondazione. Del resto la metafisica come scienza prima è anche necessaria al fare scientifico per due motivi: perché se la metafisica non avesse senso, essendo la riflessione sull’ente in quanto ente, verrebbe a perder senso ogni discorso su qualsiasi cosa, che è pur sempre un ente. In questo modo gli stessi risultati delle scienze particolari resterebbero non intelligibili. Le scienze particolari invece non possono, per la ristrettezza stessa del loro campo di indagine (che è un settore dell’essere e non l’ente in quanto ente) risalire all’ultimo fondamento, e per questo è vano tentare di risalire a Dio Creatore e alla verità della creazione rimanendo chiusi nel loro campo di indagine. Infatti ciò che demarca metafisica e scienze particolari sono i loro rispettivi oggetti formali: solo la metafisica è in grado di trattare dell’ente in quanto ente e dunque dei principi e delle cause dell’essere stesso delle cose. La nozione di creazione è una nozione metafisica. Detto questo bisogna ora chiarire bene il significato del termine “creazione”. Per molti esso coincide con l’affermazione di un inizio assoluto nel tempo. Tuttavia come dimostra lo stesso San Tommaso d’Aquino, ad esempio nel De aeternitate mundi, non ripugna alla ragione supporre un regresso all’infinito nella serie delle cause fiendi (le cause del singolo divenire di un ente). Infatti è possibile che ci siano stati infiniti Big bang, infinite alternanze di esplosioni di materia primordiale ed implosioni di quanto ne è scaturito. Quello che conta per dimostrare la creazione è che non è possibile risalire all’infinito nella serie delle cause essendi ossia nelle cause dell’essere stesso degli enti divenienti in quanto enti e in quanto divenienti. Per sintetizzare possiamo facilmente definire la creazione non solo come productio ex nihilo sui et subiecti ma anche come communicatio in essendo. Cornelio Fabro ben si avvide che la nozione di creazione e dunque di causazione ontologica si fonda non sull’individuazione di un inevidente cominciamento assoluto ma sull’individuazione dei caratteri di precarietà e di finitezza delle cose del mondo e di noi stessi: il divenire, la molteplicità, i limiti e il valore dell’ordine intrinseco alle nature delle cose, e la conseguente scoperta della distinzione/composizione reale tra essentia ed actus essendi in noi e nella realtà circostante. Fu così che si può riassumere la dottrina tomistica sulla creazione dicendo:

«tutto ciò che è ente per partecipazione è causato», dove «ente per partecipazione» significa «ente in cui essentia ed actus essendi non coincidono».

Gli unici ostacoli alla apertura verso la dottrina della creazione oggi, pertanto, non provengono dalla scienza empirica, ma ancora dai pregiudizi gnoseologici anti-metafisici, come il fenomenismo nominalistico di stampo humiano e il rappresentazionismo kantiano. Tuttavia e il fenomenismo humiano e il rappresentazionismo kantiano sono posizioni ingiustificabili e auto-contraddittorie. Il primo perché sostenendo che abbiamo solo impressioni sensoriali o al massimo idee illanguidite delle sensazioni si ritrova a non poter più spiegare il senso stesso dell’idea di “fenomeno” e “fenomenismo”; il secondo perché suppone di non conoscere quello (il noumeno)di cui parlandone mostra di averne conoscenza, e dunque si contraddice. Tra i grandi filosofi tomisti che hanno confutato le critiche kantiane alle prove dell’esistenza di Dio ricordiamo soprattutto Sofia Vanni Rovighi nei suoi studi Introduzione allo studio di Kant e Elementi di filosofia II. Sofia Vanni Rovighi, nel secondo dei libri citati, tratta anche della comparazione tra la dottrina del principio di causalità (o primato dell’atto) e principio di indeterminazione di Heisemberg. Vanni Rovighi fa notare che il principio di Heinsemberg è contrario al determinismo e non alla causalità. Per concludere, voglio citare un passo di Cornelio Fabro che ben mette in luce l’urgenza del problema di Dio e la necessità della riscoperta della metafisica in quanto scienza prima tra gli stessi scienziati:

«la scienza moderna è profondamente penetrata dall’esigenza di Dio, la cui presenza il fisico moderno è in grado d’avvertire non solo senza fare violenza alcuna ai suoi risultati, ma perché essa scaturisce ed è invocata dai medesimi come il vincolo operante dei fenomeni – che altrimenti sarebbero senza scrittura alcuna e contraddittori – anche se tale vincolo sfugge, per definizione alla scienza (particolare)» (Cornelio Fabro, Dio. Introduzione al problema teologico, EDIVI, p. 69)

Fr. Mario Padovano op


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