I classici del pensiero…“in briciole”. La Metafisica di Aristotele: il motore immobile.

La Metafisica di Aristotele (384-322) è senza alcun dubbio una delle opere filosofiche più conosciute e tra quelle che hanno maggiormente influenzato la storia del pensiero occidentale. L’opera si compone di 14 libri e si apre con un excursus storico-teoretico in cui l’Autore espone le teorie dei suoi predecessori (è il primo testo di storia della filosofia); segue la trattazione dei temi fondamentali dell’indagine filosofica: i principi della scienza, la differenza tra la filosofia e le altre scienze, il concetto di sostanza, la distinzione tra potenza e atto, il concetto di causa, per giungere alla trattazione di quello che Cornelio Fabro definiva «il problema essenziale dell’uomo essenziale», la ricerca della causa ultima e dei principi supremi. Come possiamo definire la scienza metafisica? È lo stesso Aristotele ad aiutarci. Nel quarto libro (Gamma) leggiamo:

«C’è una scienza che considera l’essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in quanto tale: essa non si identifica con nessuna delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre scienze considera l’essere in quanto essere in universale, ma, dopo aver delimitato una parte di esso, ciascuna studia le caratteristiche di questa parte. Così fanno, ad esempio, le matematiche. Orbene, poiché ricerchiamo le cause e i principi supremi, è evidente che questi devono essere cause e principi di una realtà che è per sé. Se, dunque, anche coloro che ricercavano gli elementi degli esseri, ricercavano questi principi supremi, necessariamente quegli elementi non erano elementi dell’essere accidentale, ma dell’essere come essere. Dunque, anche noi dobbiamo ricercare le cause prime dell’essere in quanto essere» (Metafisica, IV, 1, 1003 a 20 – 32)

Oltre al libro appena citato, quello che ha avuto la maggiore fortuna è senza dubbio il XII (Lambda). Uno dei maggiori commentatori aristotelici, Alessandro d’Afrodisia (II-III sec.), lo definì culmine dell’opera e, in effetti, è proprio così: in questa parte Aristotele mostra la necessità di un motore immobile, causa del divenire. Partendo dalla constatazione della mutevolezza, il filosofo giunge alla causa prima di tale mutevolezza.

«[E]siste, quindi, qualcosa che è sempre mosso secondo un moto incessante, e questo modo è la conversione circolare (e ciò risulta con evidenza non solo in virtù di un ragionamento, ma in base ai fatti), e di conseguenza si deve ammettere l’eternità del primo cielo. Ed esiste, pertanto, anche qualcosa che provoca il moto del primo cielo. Ma dal momento che ciò che subisce e provoca il movimento è un intermedio, c’è tuttavia un qualcosa che provoca il movimento senza essere mosso, un qualcosa di eterno che è, insieme, sostanza e atto» (XII, 1072 a 19-25).

Ecco…qualche “briciola” aristotelica.

Giovanni Covino


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