Giovane studiosa e divulgatrice culturale italiana, Martina Michelangeli nasce a Marino nel 1989, e intraprende la carriera di docente di Discipline Letterarie, dopo gli studi scientifici, la laurea in Lettere Moderne presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e la laurea Magistrale in Scienze del Testo presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Nel corso degli studi accademici ha concentrato la sua attenzione nel campo critico-filologico, in particolare riguardo gli studi danteschi. Nel corso della sua laurea magistrale ha collaborato con il laboratorio di Scienze del Testo per la trascrizione del manoscritto del “Fiore”, opera attribuita a Dante Alighieri, e della “vida” e la “razo” del trovatore Arnaut Daniel. Nel marzo 2014 la “Edizioni Galassia Arte” ha pubblicato un saggio sullo studio delle rime della “Divina Commedia” testo con cui nel marzo 2015 vince il primo premio del concorso letterario “Premio Dante Alighieri 2015” della EA Editore. Dal febbraio 2014 cura eventi culturali per la divulgazione della letteratura italiana, appoggiandosi a caffè letterari ed associazioni culturali. Nel 2017 è stato presentato il suo spettacolo originale e inedito “Donna m’apparve…Nelle dolci rime d’amore”, presso il Museo Casa di Dante a Firenze. Nel 2018 lo stesso spettacolo è stato scelto dal Comitato di Torino della Società Dante Alighieri, per la “Giornata Internazionale della Donna”. Nel 2019 il suo spettacolo originale ed inedito “A filar versi – Faber e il Medioevo” ha aperto La Notte Medievale, nella manifestazione della Primavera Medievale di Bevagna. Insieme al suo ruolo di docente, sostiene la divulgazione della cultura e della letteratura italiana tramite i social, con i suoi canali LetteraturArte, tra cui una sezione podcast su Spotify, e collabora con la rivista Corriere d’Europa per la sezione di “Libri e Letteratura”; e con la pagina Medievaleggiando per la sezione “Letteratura Medievale”. È socia dell’A.C. SENZA FRONTIERE ONLUS e lavora assieme al Circolo del cinema Mark-Film della Sala Lepanto, con cui ha svolto gli eventi “fra cinema e letteratura”, tra cui una serata dedicata a Giacomo Leopardi. Tra le sue pubblicazioni: La corrispondenza poetica fra Dante Alighieri e Giovanni del Virgilio, edito da Società Editrice Dante Alighieri (2012), Il canto V e il canto XXXIII dell’Inferno di Dante. La percezione del bene e del male attraverso alcune serie rimiche della Commedia, edito da Galassia Arte (2014), Le Egloghe di Dante Alighieri. Con il testo della corrispondenza poetica, edito da Progetto Cultura (2014), Giovanni Boccaccio e le Egloghe dantesche: Una nuova analisi critica sulla questione della paternità dantesca dell’opera, edito da Edizioni Accademiche Italiane (2014).
Prof.ssa Michelangeli, Lei è una studiosa appassionata di Dante. Al Sommo Poeta ha dedicato diversi lavori e comincerei questo nostro incontro partendo proprio da questo: com’è nata la Sua passione?
Io ho coltivato la passione per Dante dai tempi del liceo, grazie al mio professore di Italiano e Latino (che io denomino “il mio Virgilio” e a cui ho dedicato la mia tesi triennale): il professore ci chiese un giorno, prima di leggere il canto I dell’Inferno, dove fosse Dante in quel momento. Noi abbiamo logicamente risposto Ravenna (dopo aver studiato la biografia di Dante). Il professore però disse: “No. Dante è qui con noi, perché ogni volta che leggiamo una sua opera, Dante vive nelle pagine eterne dei suoi libri”. Come si può non rimanere affascinati da queste parole? Ancora oggi, a scuola, apro così le mie lezioni di Letteratura Italiana. Dal liceo e poi successivamente all’università ho capito che i versi di Dante parlano di noi, dei sentimenti che ogni persona vive nella propria vita: dall’amore giovanile, alla propria formazione e all’interesse per la vita pubblica e civile del proprio paese.
Molto interessante è il Suo lavoro sui canti V e XXXIII dell’Inferno di Dante. Potrebbe parlarci di questo studio: qual è il filo che lega questi due canti?
Prima di tutto dobbiamo ricordare che nel Medioevo la vita dell’uomo era intesa come una “foresta di simboli”, in cui ogni singolo oggetto poteva rivestire un ruolo importante nella vita di un individuo. Il lavoro che unisce i due canti nasce dall’idea filologica che le varie serie rimiche della Commedia hanno un loro scopo specifico nell’insegnamento morale del viaggio di Dante, frutto di una costruzione ragionata, calibrata e pensata nei minimi particolari: nessun elemento nella Commedia è isolato (come spesso si potrebbe pensare, date le diverse tematiche fra i canti), ma è destinato ad interagire continuamente. Il filo che unisce questi due canti, così come gli altri canti della Commedia, sono proprio le parole ripetute nelle serie rimiche: gli stessi termini, vengono usati da Dante per esprimere punti diversi di un concetto o di alcune emozioni completamente opposte fra loro: vita e morte, bene e male, positivo e negativo. Attraverso lo studio delle serie rimiche della Commedia, si comprende come Dante riesca a trasmettere, con l’utilizzo delle stesse parole in Cantiche diverse, una visione positiva e una negativa del suo pensiero lungo il suo viaggio verso la “diritta via”, e come la ricorrenza di una singola parola possa aiutare il lettore a ricordare momenti o personaggi incontrati nella lettura, ripercorrendo le sensazioni vissute dallo stesso Poeta. I canti scelti per spiegare questo meccanismo delle rime sono stati il V, il canto di Paolo e Francesca, e il XXXIII, il canto del Conte Ugolino della Gherardesca, poiché ritenuti due canti fra i più conosciuti dell’Opera, in cui i sentimenti e le azioni struggenti dei personaggi incontrati da Dante sono così “umani” che possono essere più facilmente recepiti in modo diretto dai lettori. Si potrebbe anche dire, senza fraintendimenti, che i personaggi dell’Inferno sono il dettaglio di un più vasto affresco del mondo e dell’umanità: perdendosi nella selva Dante rivela che gli uomini sono spesso prigionieri del peccato e dell’odio; ma con la sua Opera, il Poeta, farà capire ai suoi contemporanei, e a noi posteri, che questo pessimismo riguardo al comportamento umano è sorretto dalla certezza che il male sarà comunque sconfitto, rendendo l’uomo libero di seguire la sua strada verso il bene nel cammino della sua vita.
Nella Divina Commedia, ho sempre trovato molti versi di grande spessore filosofico. Penso soprattutto alla terza cantica che io, da profano, ho sempre visto come l’espressione più alta di una sorta di filosofia dell’amore. Lei cosa ne pensa?
Purtroppo il Paradiso viene spesso definito come la cantica “più noiosa” della Divina Commedia, in particolare dagli studenti. C’è un motivo dietro questa espressione: nel Paradiso gli argomenti affrontati da Dante non sono umani, ma divini. Per comprenderli bisogna avere un’adeguata preparazione filosofica e teologica, che spesso nelle lezioni scolastiche non viene fornita. Sinceramente credo che uno dei modi per rendere il Paradiso più accessibile sia quello di partire dalla figura di Beatrice: studiare il percorso spirituale della figura della “gentilissima”, dalla concezione dell’amore degli stilnovisti fino al suo ruolo di guida nella Commedia, arrivando ad ampliare il discorso filosofico nella formazione di Dante. In questo studio bisogna avere come punto di riferimento non solo Beatrice, ma anche l’influenza della religione cristiana, al suo apice durante gli anni della Divina Commedia. La visione unificatrice per comprendere l’opera la si può trovare nella comprensione di un sentimento intimo e morale, comune agli uomini medievali: quello della ricerca dell’amore e della verità da esso rivelata nella vita.Non è un caso infatti che la stessa Beatrice dirà a Virgilio, nel canto II dell’Inferno che “Amor mi mosse”, per chiedere al poeta latino di salvare Dante. Quello stesso Amore che Dante cita nell’ultimo verso dell’opera, cioè quell’Amore “che move il sole e l’altre stelle”. Per questo direi che la definizione di filosofia dell’amore, sia l’espressione migliore per descrivere la terza cantica.
Naturalmente, dal punto di vista filosofico, Il Convivio ha un posto di rilievo. Potrebbe esporci il progetto di Dante? Come il Sommo Poeta presenta la filosofia in questa opera?
Il Convivio è un’opera trattatistica che ha come tematica centrale la conoscenza umana, a cui tutti gli uomini sono chiamati. Il “convivio” è infatti un banchetto, dove, per apprezzare le raffinate vivande offerte dal poeta (e cioè le canzoni “filosofiche” che egli inserisce in ogni capitolo) al lettore occorrerà del “pane”, ovvero le parti in prosa a commento dei testi poetici. Dopo questa introduzione, Dante delinea i suoi interessi filosofici (come la filosofia aristotelica) con la sua attività di poeta, anche con il richiamo del prosimetro della Vita Nova. Il modello letterario, trattandosi di un’opera didascalica, è quello della trattatistica latina, ma con una novità assoluta, tipica del genio di Dante: l’uso del volgare invece del latino (la lingua dei dotti). L’autore si pone questa scelta la “liberalitate” e “natural amore” della “propria loquela”.
Tuttavia, il grande progetto iniziale di comporre quattordici libri non si realizza, perché Dante, si dedicherà alla Commedia, all’incirca verso il 1307, fermando il Convivio al quarto libro. La filosofia a cui si ispira Dante è la filosofia aristotelica: la corrente maggioritaria nel Medioevo dell’aristotelismo era quella più ortodossa ispirata al padre della Chiesa San Tommaso d’Aquino, e alla sua Summa Theologica. C’erano comunque altre inclinazioni sul pensiero di Aristotele, come quella del filosofo arabo Averroè e dalla dottrina di Alberto Magno, considerata più ortodossa. Famoso è il terzo trattato, in cui Dante presenta la sua canzone Amor che ne la mente mi ragiona: qui il poeta confessa che il testo è il prodotto degli studi filosofici a cui egli si è dedicato dopo la morte di Beatrice. Infatti all’amore stilnovista, di ambito letterario, si è sostituita progressivamente la passione per la conoscenza e la donna ‘gentile’ cui qui si allude successivamente alla Vita Nova è, probabilmente, proprio la Filosofia. È sorprendente scoprire come in Dante si ritorni sempre al concetto di Amore e Pensiero.
Terminiamo questo nostro incontro con una domanda “semplicissima”: qual è la Sua terzina preferita? E perché?
Grazie per questa domanda. La terzina è questa qui:
“Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d’accedere al monte?
non sapei tu che qui è l’uom felice?”
Questa terzina si trova nel canto XXX del Purgatorio, nel momento in cui Beatrice si rivela a Dante nel Paradiso Terrestre. L’incontro, tanto atteso, di Dante con Beatrice avverrà dopo 63 canti (6 e 3 = 9, cioè il numero di Beatrice) in un punto strategico del Poema: quando Dante è alla fine del suo periodo di purificazione del viaggio nei regni ultraterreni, dopo aver attraversato la dannazione dell’Inferno e la salita del Purgatorio. Questo incontro si racchiude nella bellezza della rima “Beatrice/ felice”: Beatrice dal latino è Beatrix, che vuol dire FELICE. Lei rivela (quindi “dice”) il suo nome a Dante e lo esorta a pensar bene nel sentirsi pronto ad attraversare il Paradiso Terrestre e perciò concludere il suo viaggio nel Purgatorio, per entrare poi con lei nel Paradiso, nel regno dove ogni uomo è felice, per completare il suo viaggio di salvezza.
Molte grazie per questo incontro.
Intervista a cura di Giovanni Covino