I “maestri della lettura lenta”. Il peso della memoria e la fatica dello studio

L’ultimo libro di Adriano Prosperi, Un tempo senza storia. La distruzione del passato (Einaudi, Torino 2021), può essere letto, oltre che – per citare lo stesso Autore – come «un’apologia dello storia», anche come un invito allo studio e, allo stesso tempo, come un richiamo ad una verità tanto lampante quanto dimentica: lo studio richiede fatica e pazienza.

Quanto appena detto sullo studio risulta ancor più importante quando pensiamo all’attuale congiuntura storica in cui sentiamo spesso parlare di “digitalizzazione” e, addirittura, di “svolta decisiva” per i destini dell’umano consorzio. Tuttavia – e qui troviamo quello che a mio giudizio è il nucleo teoretico del discorso di Prosperi – ogni parola sulla progettualità può trovare un senso solo all’interno di un discorso più ampio capace di rifiutare una sempre più diffusa cultura dell’oblio (si veda in particolare il primo capitolo Le intermittenze della memoria, pp. 3-51) in nome di un anonimo futuro.

Per raggiungere questo obiettivo abbiamo bisogno non delle facili e veloci acquisizioni digitali, ma della presenza di «maestri della lettura lenta» (F. Nietzsche, cit. a pag. 72) capaci di trasmettere solide conoscenze. Ciò, naturalmente, non vuol dire demonizzare il c.d. mondo virtuale, ma semplicemente innestare le potenzialità del nuovo sull’albero sempreverde della ricerca seria e appassionata. In questo senso, la storia, “scienza degli uomini nel tempo” (M. Bloch), non deve essere vista come un blocco monolitico e quasi una zavorra di cui liberarsi, ma prezioso tesoro per tutti uomini su cui riflettere.

Ciò risulta di estrema importanza soprattuto pensando alle nuove generazioni perché – come Prosperi dice nelle pagine finali – «[l]a domanda che il giovane più di tutti rivolge alla storia nasce dalla speranza: lo sguardo ansioso che cerca di penetrare nelle nebbie del domani e di riconoscere il suo posto nella vita è quello di chi si volta indietro per capire da dove viene» (p. 114).

Volgere il proprio sguardo al passato, in questo senso, lungi dall’essere un peso di cui disfarsi, diviene il terreno su cui costruire le nostre opportunità.

Giovanni Covino

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