Nel suo articolo, intitolato Aquinas on the Foundations of Knowledge, Eleonore Stump muove una disamina tesa a mettere in discussione il senso del termine “fondazionalismo” applicato all’Aquinate.
La discussione che intraprende l’Autrice riguarda non solo il tipo di fondazionalismo di Tommaso d’Aquino, ma anche le ragioni pro e contro dell’attribuire al Dottore angelico tale posizione epistemologica. Particolarmente interessante è la disamina da parte di Stump dell’ermeneutica testuale e della relativa critica alla presunta posizione tommasiana da parte di filosofi come Plantinga. Sembra, tuttavia, che a Stump interessi mettere più l’accento sull’affidabilismo (reliabilism) dell’epistemologia tomista e, a modesto avviso di chi scrive, Stump ha ragione nell’affermare che per ben comprendere la posizione epistemologica del Dottore comune occorre risalire alla distinzione tra scientia e cognitio.
Noi ci interesseremo particolarmente di questo tema.
Il primo punto che Eleonore Stump riscontra e mette in evidenza nei confronti della critica al cosiddetto “fondazionalismo classico e medievale” è che spesso tale critica, pur con le dovute distinzioni, viene condotta sulla falsariga del fondazionalismo cartesiano e moderno. In altri termini si vuol dire che l’opera di fondazionalismo epistemico svolta dal filosofo francese e da altri pensatori moderni è quasi come se fosse considerata paradigmatica per ogni altro tentativo di fondazionalismo, anche di quello aristotelico (come negli Analitici posteriori) e di quello tomistico. Questa fallacia è presente, pur se si tengono in considerazione le dovute differenze tra le diverse scuole di pensiero:
«Foundationalism is most frequently associated with Descartes….Plantinga, for example, distinguishes what he calls “ancient and medieval foundationalism” from modern foundationalism found in Descartes, Locke, and Leibniz, among others, but he thinks Aquinas’s brand of foundationalism has enough in common with the foundationalism of Descartes and other early modern philosophers that they can all be conflated under the heading “classical foundationalism”»
Un altro punto, che segue al primo e che Stump giustamente mette in rilievo, è che implicitamente certi filosofi sembrano fare una identificazione tra fondazionalismo e internalismo: proposizioni che si giustificano sulla base di altre proposizioni considerate basiche ma sempre e solo interne alla mente. Questo tipo di fondazionalismo è alquanto soggettivistico, a parere di chi scrive, e non riesce a risolvere la questione dell’ultimo fondamento epistemologico perché rimane sempre la questione “su cosa si fonda l’auto-evidenza delle proposizione prime se, proprio perché la scienza è l’habitus più perfetto del pensiero e il ragionamento l’ultima e più decisiva operazione della mente, è proprio questo stesso pensiero, in quanto discorsivo, che va in ultima istanza fondato?”
E, pur ammettendo la cosiddetta teoria delle condizioni basiche, non si risolve il problema della basicità di queste condizioni. Difatti se non sono universali e oggettive come possono essere fondanti? Se non sono a loro volta conosciute e cioè se non sono oggettivamente apprese? Sapere poi che sono mie condizioni è sapere ad un medesimo tempo che possono non essere fondate e fondanti per altri. E questo non le rende né oggettivamente né universalmente e nemmeno soggettivamente basiche, perché potrei sempre pensare che non sono basiche appunto, che sono miei postulati arbitrari: è come pensare che un X sia vero e falso ad un tempo. Inconsistenza del relativismo, del criticismo, del pensiero debole, del soggettivismo…
In altri termini un pensiero che si suppone ontologicamente (questo è implicito!) da fondare è da fondare non solo a riguardo di una sua singola operazione ma integralmente. E ciò vale per ogni facoltà conoscitiva, dato che non c’è conoscenza di alcun tipo in atto se non in virtù del conosciuto.
Giungiamo al terzo punto, quello che più ci interessa. Per ben comprendere il fondazionalismo tipico dell’Aquinate – e qui non credo ci siano forti ragioni per sostenere che l’Aquinate non sia fondazionalista – dobbiamo tener presente tre aspetti: il primo è che, a differenza di Descartes, in San Tommaso non esiste un’unica proposizione di base che fa da principio ultimo per la verità e la coerenza della scientia, ma esistono molteplici conoscenze di base, e le stesse conoscenze dei sensi (sia interni che esterni) sono auto-evidenti. Anche la memoria dà luogo a conoscenze immediatamente evidenti. E qui si potrebbe controbattere che la memoria non dà auto-evidenze perché si può essere non certi di ricordare bene. Ma l’affermazione stessa “non sono certo di ricordare bene” è evidente che non è certitudo, dunque non sussiste il problema. E così veniamo al secondo aspetto che vogliamo mettere in evidenza: l’accezione del termine latino certitudo. Considerare, forse sempre implicitamente, la certitudo solo come stato d’animo o stato emozionale soggettivo nei confronti della conoscenza fa fallire la probabile obiezione: infatti la certitudo, come abbiamo visto anche nel caso della memoria, è effetto dell’evidenza. Abbiamo certitudo se e solo se qualcosa ci è evidente, altrimenti, supposto un tema, o meglio un oggetto X, o non abbiamo affatto idea di X e siamo nella sua più totale ignoranza e allora non si pone proprio la questione X, o siamo in uno stato di dubbio che è l’opposto dello stato di certezza. Ma la certezza va spiegata essendo un moto e uno stato che può trapassare. Ci vuole l’evidenza. L’evidenza non può che inerire all’oggetto conosciuto anche se si sviluppa nella mente. Pertanto ha ragione Stump nel criticare l’implicita identificazione tra fondazionalismo e internalismo. Io direi che non si dovrebbe nemmeno implicitamente ritenere che esista solo un fondazionalismo “monista” come quello cartesiano, ma anche un fondazionalismo pluralista come quello aristotelico-tomista. Questo è un altro aspetto da tenere in considerazione.
L’ultimo e più importante aspetto che ben mette in luce Stump è che in Tommaso d’Aquino gioca un ruolo di primo piano anche la nozione di cognitio e non solo di scientia. Anzi la cognitio viene prima della stessa scientia. Come dice Stump, nell’Aquinate non si può pensare che ci sia una identità tra scientia e conoscenza. La scienza è un tipo di conoscenza, la più complessa che presuppone la più semplice (quoad nos). Non si tratta solo di fondare proposizioni su altre proposizioni, ma operazioni della mente su una operazione prima. L’Autrice, tuttavia, non fa questo discorso.
Per concludere, è chiaro che, nel suo Commento agli Analitici posteriori, Tommaso è fondazionalista, per l’impossibilità del regresso all’infinito nella serie delle dimostrazioni, tuttavia, il fondazionalismo che implicitamente sembra suggerire Tommaso è più ampio e di quello moderno e di quello plantinghiano: è la conoscenza umana in quanto finita e diveniente che va fondata. E va fondata non solo la nostra scientia, ma la stessa nostra cognitio, perché, potremmo dire, se la nostra cognitio fosse perfetta e già tutta in atto (fosse atto puro) non ci sarebbe scientia.
Questo, credo, sia il discorso che da epistemologico diventa più ampiamente gnoseologico dello stesso realismo metafisico.
Mario Padovano op
Forse questa domanda va un po’ off topic, ma si può dire che la differenza tra quelle che vengono chiamate “ragione dogmatica” e “ragione critica” sta proprio nel rifiuto di fondamenti da parte della seconda, o perlomeno di cercarli nel soggetto?
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Potrebbe definire meglio i concetti di “ragione dogmatica” e “ragione critica”?
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Per quanto mi è dato di capire (dai corsi di filosofia che sto seguendo), il problema sta nel fatto che adesso è molto comune parlare di “filosofia critica” e “ragione critic”a nel senso o di un procedere filosofico che rinuncia alla questione del fondamento (e peregrina all’infinito, cercando la trascendenza in cose come l’etica, l’altro etc.), oppure come un procedere che deve prima cercarlo questo fondamento, e la strada che si prende per cercarlo è quella “trascendentale” nelle sue varie declinazioni. Mentre chi ritiene che sia possibile alla ragione di conoscere l’esistenza di Dio (a partire dalle cose create), secondo le dimostrazioni classiche, viene etichettato come uno che procede in maniera dogmatica nel ragionamento, un modo di procedere che sarebbe anacronistico e non più accettabile. Spero così sia più chiaro.
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Molte grazie per la risposta. Per quanto riguarda la mia personale posizione (esposta in diversi articoli) la ragione che procede alla ricerca del Fondamento ultimo non è per nulla dogmatica. Cerco di sintetizzare. L’esistenza di Dio, l’esistenza di una spiegazione ultima del reale è raggiunta attraverso una ricerca che non ha nulla di dogmatico: si parte dalla realtà finita, mutevole per giungere ad un’altra realtà non mutevole. Questa descrizione non è una presa di posizione acritica, ma essenza stessa del filosofare. Per quanto concerne l’articolo di Padovano, la questione concerne i fondamenti della conoscenza stessa e la necessità di un primum da cui partire. Per concludere: etichettare come “procedura dogmatica” la ricerca del fondamento è un atto – a mio parere – privo di giustificazione. Per quanto mi riguarda la parola dogma la si usa nell’ambito della teologia sacra e riguarda la Rivelazione di Dio.
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