«Chi sia stato educato fino a questo punto rispetto alle cose d’amore, contemplando una dopo l’altra e nel modo giusto le cose belle, costui, pervenendo ormai al termine delle cose d’amore, scorgerà immediatamente qualcosa di bello, per sua natura meraviglioso. […] In primo luogo, qualcosa che sempre è, e che non nasce né perisce, non cresce né diminuisce, e inoltre non è da un lato bello e dall’altro brutto in relazione ad un’altra, né bello in una parte e brutto in altra parte, né in quanto bello per alcuni e brutto per altri. […] Ma si manifesterà in se stesso, per se stesso, con se stesso, come forma unica che è sempre».
Platone, Simposio 211 A
In uno dei dialoghi platonici più belli, il Simposio, dopo il discorso di Socrate che pone al centro la ricerca della sapienza e il desiderio presente nel cuore dell’uomo del vero, entra in scena Alcibiade che, ubriaco, inizia il suo discorso non su Eros, ma su Socrate stesso. Alcibiade propone una visione di Eros lontanissima da quella descritta poco prima, una visione duramente criticata da Socrate: l’uomo, infatti, non può pensare all’amore e, quindi, alla sapienza in termini utilitaristici e di scambio così come pensa Alcibiade.
In conclusione, ciò che occorre evitare è «scambiare armi d’oro con armi di bronzo» (219 A) e iniziare a con-filosofare per unico scopo: raggiungere la verità, il bene e il bello, cogliendo la così la vera natura di Eros.
Giovanni Covino