La Pietra Filosofale

«Ci vuole tutta una vita per imparare a vivere e […]

ci vuole tutta una vita per imparare a morire».

Seneca

Uno dei temi più importanti del primo volume della saga – intitolato Harry Potter e la Pietra Filosofale – firmata da J. K. Rowling è il desiderio. Questo tema, declinato in diversi modi, assume molteplici forme nelle vite dei personaggi che popolano i romanzi; ed è proprio dalla ricchezza di questo primo volume che partono, come rivoli da una fonte, tutte le linee narrative successive che vanno a disegnare un mondo fatto di cerchi che si intersecano nel cerchio principale dello scontro epico tra Harry Potter e Tom Riddle, tra il bene e il male, tra la vita e la morte.

Nello specifico credo si possa dire che si confrontino, nel primo e nei successivi con innumerevoli sfumature, due tipologie di desiderio che coincidono in definitiva con le scelte del protagonista e dell’antagonista: da un lato, il naturale aristotelico desiderio di conoscere la verità e vivere la propria esperienza di vita alla luce delle nuove conoscenze acquisite nonostante le difficoltà e le debolezze; dall’altro, il desiderio sregolato di volere tutto, divorare ogni cosa e, di conseguenza, ostinarsi nel rifiuto della propria condizione di mortale, una vera e propria negazione della finitezza creaturale. Questo è in definitiva un modo per parlare, con semplicità ma senza scadere nella banalità, del senso della vita e di tutto ciò che a questo argomento è legato. L’Autrice lo dice chiaramente in un’intervista del 1998: «I think the books do explore the misuse of power, and there’s an attempt to make some sense of death» (in A. Simpson, “Face to Face with J. K. Rowling: Casting a spell over young minds”, The Herald, 7 December 1998).

Il cattivo uso del potere e la ricerca di un significato della morte (e naturalmente della vita) rientra difatti nel discorso sul desiderio di cui sopra. Si tratta di una determinata visione del mondo che guida la vita ed è alla base delle scelte, una Weltanschauung che dà forma alla liberta del singolo.

In questo quadro si inserisce il tema della leggendaria sostanza che dà il titolo al primo volume della saga: la pietra filosofale. Nel romanzo Rowling riprende il mito di Nicolas Flamel alchimista che, proprio grazie alla pietra da lui stesso prodotta, è ancora vivo. La figura è scovata da Hermione, energico personaggio contraddistinto da una passione davvero ammirevole per lo studio e da una certa testardaggine, che, dopo lunghe ricerche, mostra ai suoi due migliori amici il frutto delle sue fatiche:

«Spinse il librone verso di loro, e i due ragazzi lessero: L’antica disciplina dell’alchimia si occupa della produzione della Pietra Filosofale, una sostanza leggendaria dai poteri sbalorditivi. La Pietra è in grado di trasformare qualsiasi metallo in oro puro e per giunta da essa si ottiene l’Elisir di Lunga Via, che rende immortale chi lo beve. Nel corso dei secoli si è parlato molto della Pietra Filosofale, ma l’unica che esista attualmente appartiene a Nicolas Flamel, noto alchimista e appassionato di opera lirica. Flamel, che l’anno scorso ha festeggiato il suo seicentosessantacinquesimo compleanno, conduce una vita tranquilla nel Devon insieme alla moglie, Perenelle, che ha seicentocinquantotto anni» (I, 216).

Per le proprietà appena descritte, è comprensibile il motivo per cui la pietra sia stata oggetto del desiderio di molti e, tra questi, non poteva naturalmente mancare Voledemort. Nello scontro finale del primo capitolo l’oggetto della contesa è propria la pietra filosofale e direi che tale contesa, in fondo, altro non è che la concreta manifestazione dello scontro tra le due forme di desiderio di cui sopra.

Potter per la prima volta incontra la figura del male, incontra la forza che si muove per divorare tutto e che usa qualsiasi mezzo per raggiungere il suo scopo. Nel caso specifico, Voldemort si presenta al protagonista come una parassita (necessita di un altro per mostrarsi: cfr. I, cap. 17, L’uomo dai due volti): scelta molto interessante poiché mostra, da un lato, il volto mostruoso del male, dall’altro, evidenzia una verità del buon senso comune, vale a dire la priorità metafisica del bene. Il male si mostra come de-formità, mancanza di armonia, in definitiva rifiuto ostinato della vita stessa, e questo nonostante l’obiettivo di Voldemort sia proprio il dominio totale della morte. Vivente contraddizione: tentare di dominare, ma è proprio questo “tentare” che, inevitabilmente, conduce ad essere dominati.

Come giustamente dice Silente parlando dell’amico creatore della pietra filosofale, la misura del desiderio nella propria vita è ciò che dà la possibilità di imparare anche a morire e così apprezzare il proprio cammino nel tempo, nonostante debolezze e difficoltà:

«In fin dei conti, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova grande avventura. Sai la Pietra non era poi una cosa tanto prodigiosa. Sì certo: tutta la ricchezza e tutta la vita che uno può volere…Sono le due cose che la maggior parte degli esseri umani desidera più di ogni altra…Ma il guaio è che le persone hanno una particolare abilità nello scegliere proprio le cose peggiori per loro» (I, 289).

Giovanni Covino

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