
Se non hai letto i primi tre capitoli:
IV.
Quando il commissario arrivò all’università, la giornata era di un grigio spento, la nebbia si era appena diradata. Gli studenti si apprestavano a seguire, con il loro entusiasmo giovanile, i corsi scelti. Il brusio del mondo accademico faceva da sfondo ai pensieri del commissario che cercava di trovare il bandolo della matassa.
Il pensiero venne interrotto da una voce stridula.
«Prego» – disse uno dei collaboratori del preside di facoltà. «Vi faccio strada».
Il commissario e il suo assistente vennero condotti dal professore David Balor, docente universitario a capo del team di ricerca dove lavorava la signorina Lynett. Nello studio si respirava un’aria solenne: gli scaffali che perimetravano la stanza pieni di libri e numerosi premi e riconoscimenti appesi al muro descrivevano un uomo dedito alla ricerca scientifica. Il professor Balor era considerato un importante (se non il più importante) studioso di mitologia celtica ed era stato chiamato dall’Università di Torino qualche anno prima per guidare un team di ricerca sul tema.
«Buongiorno! Prego, accomodatevi» – disse il professore con chiaro accento britannico, dopo aver congedato un giovane studente dal suo ufficio.
«Buongiorno, professore. Credo Lei possa immaginare il motivo della nostra visita».
«Sì, purtroppo ho saputo del tragico avvenimento. È davvero una cosa terribile…avete scoperto qualcosa?».
«Ci stiamo lavorando» – disse il commissario con un tono freddo e distaccato. «Le cose non sono affatto semplici…».
«Posso immaginare…ma ditemi: cosa posso fare per voi?».
«Siamo qui per capire qualcosa in più della ricerca che Lei sta conducendo. Sappiamo che la signorina Lynett era all’interno del suo team di ricerca…».
«Sì, esatto…».
«…e che conducevate una ricerca sulla mitologia celtica».
«Sì, proprio così».
«Vede, sulla scena del delitto, abbiamo trovato i corpi in una posizione ben precisa che sembra quasi voler suggerire altro…» – disse il commissario, dopo aver dato una foto della scena del crimine al professore. «A noi pare si tratti di una sorta di sacrificio…ed inoltre…».
Il professore era sempre più incuriosito e seguiva con estrema attenzione le parole del commissario, mentre guardava con un misto di orrore e stupore le immagini del macabro ritrovamento.
«…inoltre, abbiamo trovato – continuò Salaris – questo piccolo oggetto accanto ai corpi».
Il commissario prese un’altra foto e la consegnò al professore. Vedere quell’oggetto fu come svegliarsi improvvisamente da un incubo e ritrovarsi in un altro ben peggiore. Le ipotesi interpretative che andava man mano delineandosi nella mente del professore divennero assoluta certezza: si trattava di un vero e proprio sacrificio umano e quel piccolo oggetto lo confermava.
Il professore si alzò di scatto, prese uno dei suoi grossi volumi dallo scaffale alla sua sinistra e lo aprì:
“I Galli sono molto dediti alle pratiche religiose, perciò quelli che sono gravemente ammalati o si trovano in guerra o in pericolo, fanno sacrifici umani o fanno voto di immolarne e si servono dei druidi come esecutori di questi sacrifici: essi credono infatti che gli dei immortali non possono essere soddisfatti se non si dà loro, in cambio della vita di un uomo, la vita di un altro uomo; fanno perciò anche sacrifici ufficiali di questo genere. Certe popolazioni costruiscono statue enormi, fatte di vimini intrecciati, che riempiono di uomini vivi ed incendiano, facendoli morire tra e fiamme. Credono che cosa più gradita agli dei sia il sacrificio di coloro che sono sorpresi a rubare, rapinare o commettere qualche altro delitto; ma quando mancano costoro, sacrificano anche degli innocenti”.
«La pagina – spiegò con estrema chiarezza il professor Balor – è uno testi più controversi sui Celti: per alcuni studiosi si tratta di una presa di posizione ideologica, usata da Cesare per affermare l’inferiorità e la rozzezza di questi popoli; altri, invece, parlano di un testo fedele alla realtà, storicamente attendibile quindi. Comunque sia, ciò che interessa ora non è questo, ma…».
Il professore indicò una parte di quella pagina già evidenziata e con numerose note a margine:
“Certe popolazioni costruiscono statue enormi, fatte di vimini intrecciati, che riempiono di uomini vivi ed incendiano, facendoli morire tra e fiamme”.
Alzandosi in piedi e iniziando a passeggiare nervosamente, il professore riprese: «Ecco il punto tragicamente interessante: l’oggetto che avete trovato sul luogo del delitto è una piccola statua di vimini…e…a questo punto risulta tutto più comprensibile: le modalità esecutive, la simbologia…».
Il commissario e Brera ascoltavano, come novelli scolari, il professore Balor con in bocca il sapore amaro di qualcosa che avevano già intuito, ma non ancora conosciuto del tutto.
«…è tutto chiaro: l’assassino non potendo, per ovvie ragioni, riprodurre un sacrificio come quello descritto da Cesare, lo ha in un certo senso riprodotto in una stanza…Terribile… il colore del sangue si espande quasi a formare fiamme vive…guardi commissario…».
Il professore girò una delle immagini e invitò il commissario ad osservare attentamente solo la forma del sangue sulle pareti e sulla moquette. In effetti, da diverse prospettive e con un leggero sforzo dell’immaginazione, il commissario riuscì a vedere quello di cui stava parlando Balor.
«…e i corpi?» – chiese timidamente l’agente Brera.
«…e i corpi sono chiaramente posti in questa posizione perché sono tra le fiamme» – disse il commissario.
«Esatto. Vedo che ha compreso, commissario».
«Purtroppo…».
«Sì, i corpi, agente, sono come tra le fiamme. La loro posizione è quella di chi conosce il suo tragico destino, la sua spaventosa morte. È davvero una cosa terribile…».
In quel momento, il telefono dello studio del professor Balor squillò. Un impegno urgente lo attendeva. Salaris e Brera si congedarono dopo aver ringraziato il professore e si diressero verso la macchina con passo spedito.
«Commisario, è difficile…come si può pensare di uccidere in quel modo?».
Il commissario era come perso nei suoi pensieri. Brera comprese immediatamente di dover tacere: in quel momento la sua mente stava cercando di mettere ordine in quello stravolgimento. Tra le cose più importanti, la prima per il commissario Salaris era senza alcun dubbio pensare come l’assassino. L’apparente tranquillità del suo volto nascondeva, in realtà, un complesso meccanismo di collegamenti che avrebbero dovuto poi condurlo alla risoluzione del caso. Pensare come l’assassino era il primo passo per lui. Doveva scavare e toccare quasi con mano quella coscienza lacerata che a sua volta aveva lacerato l’ordine nella vita quotidiana di altre persone. Cosa può spinger(mi)a questo?
A casa, il commissario continuò a riflettere. Le indagini finora svolte lo avevano condotto ad alcune certezze, ma ancora non riusciva a comprendere. Aprì il taccuino dove oltre ai soliti appunti (nomi, giorno, ora e luogo del delitto), il commissario aveva appuntato:
- Macabro rituale simbolico
- Ossessione
- Odio e amore
Prese una penna e fece partire una freccia dal primo punto specificando “rituale celtico” e un’altra freccia specificò la natura dell’ossessione: probabilmente un’ossessione di natura religiosa che ha portato l’assassino a pensare di poter ricevere favori attuando quel disegno oppure pensare di usare quei mezzi per raggiungere un altro scopo. Se così, l’ossessione religiosa è solo l’effetto di un’ossessione più profonda verso tutte o una delle persone assassinate. La freccia partì da questo ultimo punto e si unì all’ultimo punto della lista “odio e amore”.
L’odio e l’amore.
Tutto, in fin dei conti, era definito da queste due passioni.
V.
Alle dieci del mattino del giorno seguente il telefono squillò. Dopo qualche minuto, Salaris si rese conto di essere terribilmente in ritardo. La notte era maledettamente trascorsa in bianco, solo l’alba aveva portato un po’ di sonno interrotto da quel fastidioso trillo [continua].
Giovanni Covino



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