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V.
Alle dieci del mattino del giorno seguente il telefono squillò. Dopo qualche minuto, Salaris si rese conto di essere terribilmente in ritardo. La notte era maledettamente trascorsa in bianco, solo l’alba aveva portato un po’ di sonno interrotto da quel fastidioso trillo.
La pressione del caso conduceva spesso Salaris ad uno sforzo sovrumano: riflettere su possibili collegamenti, moventi, possibilità. Quella notte era stata proprio così. Secondi, minuti, ore scandite non dall’orologio, ma dal tentativo di diradare le nebbie di quell’orribile ritrovamento. La posizione dei cadaveri, il messaggio, la statuetta in vimini: tutto scorreva dinanzi agli occhi della mente del commissario. E tutto si traduceva in domande che esigevano una risposta: che cosa dice quel modo di uccidere? Cosa vuole dire l’assassino? Cosa collega l’ossessione di chiara matrice religiosa all’amore? Chi può odiare tanto? E perché?
Quelle domande avevano chiuso la lunga e faticosa giornata e ne aprivano un’altra tra le pieghe rovinose dell’esistenza, quella stessa esistenza ridestata dalla squillo del cellulare. Il caso attendeva il commissario, come un ballo in maschera in cui ognuno è travestito da qualcun altro.
«Pronto» – disse il commissario con voce assonnata.
«Commissario, buongiorno. Sono Brera».
«Sì, Brera…».
«Sono appena arrivato».
«Scendo subito».
Il commissario si vestì rapidamente. Brera conosceva il modus operandi del commissario. Sapeva. Non era una novità. Soprattutto quando si presentava un caso del genere.
Il portone del condominio si aprì e uscì il Salaris. Il viso che si presentava a Brera era quello di uomo stanco, ma deciso.
«Commissario, notte in bianco, eh?» – disse l’agente.
Il commissario fece un sorriso e un cenno di assenso.
«Senta, questa mattina ho sentito il proprietario del locale dove lavorava uno dei due uomini assassinati, Lere. Abbiamo appuntamento con lui stasera, verso le 7».
«Perfetto».
Il pomeriggio trascorse rapido. Salaris e Brera avevano lavorato al caso nell’ufficio del commissario, confrontando le informazioni, analizzando quanto avevano raccolto nei giorni precedenti. Alle 6 i due si alzarono per recarsi al Belfast Pub.
VI.
Il locale si presentava accogliente. Era uno di quei tipici pub di città che richiamano l’allegra atmosfera irlandese fatta di super panini farciti, ma soprattutto di birra. Il tintinnare dei boccali e il chiacchiericcio sovrastavano la conversazione che il commissario cercava di avere con il titolare del locale [continua].
Giovanni Covino



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