III. Chi ha assassinato Platone?


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III.

Il giorno seguente, Socrate, dopo aver passato la notte insonne e aver ascoltato, come al solito, i continui richiami mattutini di Santippe, iniziò la sua indagine: attraversò, accompagnato da Cebete, in lungo e largo la città, cercando di capire le circostanze che avevano portato il suo caro discepolo ad una fine così cruenta.

Iniziò ad interrogare le persone che vivevano nei pressi dell’abitazione teatro del terribile delitto, ma tutto sembrava portare il povero Socrate in un vicolo cieco. Nessuno aveva visto niente.

«Com’è possibile che nessuno abbia visto niente?» – chiese Cebete. «Eppure, trascinare lì un corpo, e un corpo così grande come quello di Platone, non è per nulla semplice e non è un’azione che possa passare inosservata…anche di notte».

«Hai ragione, Cebete. È una cosa che stupisce anche me. Forse stiamo facendo le domande sbagliate».

«Cosa vuoi dire, maestro?».

«Ci stiamo concentrando su quanto accaduto, sul delitto. Forse dobbiamo volgere l’attenzione a quanto successo nei giorni precedenti».

Perciò Socrate decise di andare dai genitori di Platone e ottenere così informazioni sui giorni precedenti. E l’intuizione si mostrò azzeccata. In quei giorni, infatti, il discepolo di Socrate aveva – secondo il racconto della madre – conosciuto uno straniero che parlava greco ma aveva un accento particolare.

«Non so – disse la madre di Platone – che accento fosse. Non l’ho mai sentito».

«Riesci a descriverlo?».

«…mmm…vediamo…aveva il classico chitone con una cordicina marrone alla vita, sandali marrone chiaro, capelli neri lunghi e una barba non molto lunga, ma i mustacci erano di più giorni…io non l’ho mai visto…uno straniero sicuramente…».

«…poi parlavano, almeno credo, sempre dello stesso argomento…».

«Come puoi dirlo?».

«…sì, che ne sai?» – disse il padre di Platone.

«Non capivo tanto, ma lo straniero ripeteva Μετὰ τὰ φυσικά. Lo ricordo proprio perché ne parlava continuamente».

«E Platone cosa faceva quando sentiva quelle parole?».

«Secondo me, perdeva un po’ la pazienza…ma era anche contento. Sembrava parlare con te, Socrate. Sembrava uno dei vostri dialoghi».

Socrate rifletteva sulle parole appena ascoltate. Lo straniero doveva essere sicuramente un filosofo e forse proprio lui era la chiave per comprendere tutto. Ma come si poteva spiegare la morte di Platone partendo da una semplice diatriba filosofica?  

Sentiti i genitori, Socrate iniziò, sempre aiutato da Cebete, ad interrogare gli abitanti della città su quello straniero. Ora aveva una descrizione, qualche indizio in più.

La prima cosa che pensò di fare Socrate fu quella di andare in una taverna. «Lo straniero – pensò Socrate – ha dovuto e deve pur sempre mangiare e dormire da qualche parte». Così, maestro e discepolo s’incamminarono e, dopo poco, giunsero nella prima taverna. Salutato il proprietario, iniziarono a fare domanda, ma non furono fortunati. Stessa cosa per le due taverne successive. Solo nella quarta, Socrate riuscì a carpire qualche notizia in più.

Il proprietario parlò di un uomo che somigliava parecchio a quello descritto dalla madre di Platone. Era rimasto lì quattro giorni prima e per una sola notte.

«Lo ricordo – disse l’uomo – perché entrò e tutti lo guardarono divertiti: aveva vestiti strani che nessuno dei presenti aveva mai visto».

«Che tipo di vestiti?».

«Non so…pezzi di stoffa che coprivano singolarmente ogni gamba e sopra una specie di veste corta, arrivava fin qui» – e l’uomo indicò la vita. «Poi ai piedi non aveva sandali…non so, mi sembravano due grandi sassi».

«Non è passato più nella tua taverna?».

«No, lo avrei notato…».

«Oppure si è adeguato ai nostri costumi» – disse quasi tra sé e sé Socrate.

«Sì, potrebbe essere…».

Socrate ringraziò il proprietario della taverna, sempre seguito da Cebete, uscì e iniziò a riflettere. Era ormai tardo pomeriggio e decise di congedare il discepolo e far ritorno a casa.

Arrivò la sera. Il cielo, come quello delle sere precedenti, si presentava sgombro di nubi e la luna sembrava più vicina del solito. Il sonno evitava Socrate che pensò di fare due passi nei dintorni, ignorando i soliti richiami di Santippe. Camminando, giunse nei pressi del tempio. Sentì un rumore, dietro un cespuglio e si diresse lì per vedere cosa fosse. All’improvviso, una luce abbagliante lo avvolse come una grande mano bianca e cadde a terra come stordito.

IV.

Socrate, ripresosi dal torpore, si trovò in un luogo alquanto buio. Sembrava una specie di caverna. Si voltò e due uomini gli si pararono dinanzi [continua].

Giovanni Covino

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