La strana morte di Renato, I

Questo racconto, come i precedenti, ha come protagonista un filosofo: questa volta è il turno di René Descartes. Se non hai letto la nota preliminare clicca qui.

Come già detto, eccezion fatta per i riferimenti presenti in questa nota e quelli che pubblicherò alla fine, il racconto è il frutto della fantasia dell’autore.


I.

10 novembre 1641

Nella stanza l’aria era diventata irrespirabile. Dal soffitto grondava uno strano liquido rossastro e appiccicoso. Fuori, come per una specie di sortilegio, il sole era stato eclissato da dense nubi nere e l’oscurità era illuminata solo da improvvise scariche elettriche che si abbattevano, potenti, sul suolo per poi essere seguite dal frastuono rombante dei tuoni.

Renato Cartesio era immobile sulla sua sedia, paralizzato dalla paura.

All’improvviso, dalla stanza accanto, sbucò un essere raccapricciante. Cartesio non aveva mai visto nulla del genere in tutta la sua vita, anzi non pensava che potesse mai esistere una “cosa” come quella.

L’essere fissava il filosofo con i suoi grandi occhi a palla pieni di sangue e aveva uno strano ghigno che faceva intravedere denti aguzzi come quelli di un vampiro e di colore scuro. Le orecchie erano appuntite, come il naso, e sul capo aveva solo una leggera peluria che lo rendeva ancora più inquietante. Il corpo dava l’impressione di essere viscido e quel suo essere raggrinzito rendeva la figura, se possibile, ancora più spaventosa e ripugnante. Le mani e i piedi erano sproporzionati rispetto al corpo e presentavano lunghe unghie affilate.

Cartesio non sapeva cosa fare. Il sudore cominciò a scendere copiosamente dalla fronte fredda come il ghiaccio. La gola era secca. Non riusciva nemmeno a deglutire quella piccola quantità di saliva che ancora producevano le sue ghiandole. Le mani stringevano i braccioli della sedia: si teneva come per evitare di cadere. La testa cominciò a girare vorticosamente, mentre tutto intorno il buio e il fetore aumentavano.

«Dimmi, Renato,» – disse il mostro con una voce gracchiante – «immaginavi questo di me?».

Cartesio guardava quello strano e inquietante essere. Sembrava non comprendere la domanda. Perciò quel mostro si avvicinò ulteriormente e ripeté la domanda.

«Sono proprio come pensavi?».

«Cosa…cosa vuol dire? Non capisco…» – disse Cartesio la voce tremula come quella di un bambino dinanzi alla sua più grande paura.

«Io sono il genio, il genio maligno».

Gli occhi di Cartesio fissavano il mostriciattolo che aveva dinanzi a sé. Non riusciva a capire.

«Mi hai chiamato in causa così tante volte nei tuoi scritti che ho deciso di fare un salto qui da te e conoscerti di persona».

«Ma…».

«Pensavi fossi solo il frutto della tua immaginazione, vero? Un iperbolico frutto delle tue meditazioni…come lo chiamano tutti…esperimento mentale…beh…».

Cartesio non riusciva a spiccicare una sillaba. Emetteva solo suoni gutturali di paura.

«…non è così» – disse il mostriciattolo, accompagnando la negazione con il suo lungo indice destro. «Parlo, penso…esisto…».

L’essere scoppiò in una fragorosa risata, mentre sul volto di Cartesio ulteriori sfumature di bianco cadaverico comparivano.

D’improvviso, però, la risata cessò e il mostro poggiò i suoi grossi arti a terra. Mutò l’espressione sul suo viso, fissò Cartesio con uno sguardo famelico e si piegò come un animale pronto a saltare e ad azzannare la sua preda.

Giovanni Covino

[Leggi il capitolo secondo]

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