
Questo racconto, come i precedenti, ha come protagonista un filosofo: questa volta è il turno di René Descartes. Se non hai letto la nota preliminare clicca qui.
Come già detto, eccezion fatta per i riferimenti presenti in questa nota e quelli che pubblicherò alla fine, il racconto è il frutto della fantasia dell’autore.
Se non ha letto il primo capitolo:
II.
Il mostro si lanciò su Cartesio che era fermo sulla sua sedia, non riusciva a muoversi. Era non solo paralizzato dalla paura, ma aveva l’impressione di essere legato da lacci invisibili. Cercava in tutti i modi di divincolarsi, ma invano.
«Nooo…nooo…» – gridò Cartesio.
Le urla però non fermarono il salto di quell’essere spaventoso che si trovò in un lampo sul corpo del filosofo. Il viscido della sua pelle si univa alla bava che scendeva dalla bocca e andava a impastocchiare il viso del povero Renato. Il puzzo di quell’essere era superato solo dal terrore che i suoi occhi sprigionavano.
«Vediamo – disse con la sua voce impastata e piena di saliva – vediamo cosa è reale e cosa non lo è, caro Renato».
E affondò i suoi lunghi artigli nella pancia del povero Cartesio che emise un lungo, sofferente lamento. Mentre cercava di reagire, il mostro affondò l’altra mano, con le sue affilate unghia, e un altro terribile suono venne fuori dal fondo della sua gola e rintronò, forte, nella stanza.
«Perché?» – chiese Cartesio con un filo di voce.
«Perché cosa?».
«Perché mi hai attaccato così?».
«Dovresti saperlo, caro Renato» – disse beffardo il mostriciattolo.
«Non so…sono solo un uomo che cerca la verità, un semplice filosofo…».
«…un filosofo che non ha capito che questi lunghi artigli esistono davvero, come questa bella stanza buia e desolata…non una semplice ipotesi…».
«Perché uccidermi?».
«…per dimostrare che su una cosa avevi ragione» – disse con un ghigno terrificante.
«Che cosa?».
«…che sono davvero maligno».
Cartesio continuava a fissare quell’essere con un’aria incredula. Tuttavia, quel dolore che sentiva era più che reale. Il sangue iniziò a colare sul pavimento e l’odore acre, ferroso si andava a mescolare con il fetore che usciva dalla bocca del genio maligno.
Le forze stavano abbandonando Cartesio che girò la testa verso il camino della stanza e guardò i fogli delle sue meditazioni sparse sul pavimento. Pensava di aver trovato i fondamenti di una scienza meravigliosa, ma in realtà non aveva fatto altro che risvegliare un’oscura presenza che ora, implacabile, lo colpiva ancora e ancora e ancora.
La vista iniziò ad annebbiarsi. Calò il buio. Poi…
Giovanni Covino



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