Narrazioni diversamente calabre

Raccontare la propria terra non è mai semplice; e se si è lontani le difficoltà aumentano perché altre esperienze, nuovi incontri, studi segnano la persona che vuole raccontare e inevitabilmente la cambiano, cambiano il suo modo di vedere il mondo, il suo modo di vedere la realtà e, di conseguenza, il suo modo di vedere la propria terra.

Tuttavia, nonostante queste difficoltà, è sempre possibile dire qualcosa, alla luce certamente delle nuove esperienze, e muovendosi tra la memoria di tradizioni, esperienze e realtà raccontate oppure semplicemente pescando nel cassetto del proprio passato.

Questo tentativo resta pur sempre una visione parziale, una parte di un tutto impossibile da cogliere in un solo sguardo. Anche per questo raccontare la propria terra non è semplice.

La Calabria è un calzino spaiato. Considerazioni e racconti per una narrativa diversamente calabra (Bertoni, Marsciano 2022) è un testo che vuol fare proprio questo: raccontare la propria terra (nello specifico la Calabria), ma in modo diverso. Il primo obiettivo è andare oltre – nelle intenzioni dell’Autore, A. Princi – una “bella storia”: «le “belle storie” sono materia da intrattenitori. Gli scrittori dovrebbero […] innescare meccanismi discorsivi che aprano nuovi campi di conoscenza culturale, linguistica, politica» (p. 5).

La narrazione di Princi è per questo una “narrazione diversamente calabra” – come recita il sottotitolo del testo. Si tratta di un apprezzabile tentativo di aprire uno spazio di riflessione diverso sul meridione d’Italia, una veduta non appiattita, libera dagli stereotipi che libri, film, serie tv ci hanno consegnato e ci consegnano. Certo, quei libri, quelle serie tv, quei film prendono qualcosa di vero da queste terre e lo propongono al pubblico (questo non può essere negato), ma l’errore – secondo l’Autore o almeno è quello che mi pare di capire – sta nel fatto di considerare questa narrazione l’unica narrazione possibile.

Decostruire questo modus operandi è l’obiettivo della prima parte del volume, una sorta di introduzione teorica che si sofferma su stereotipi e trappole che hanno inevitabilmente condotto alla formazione di determinati paradgmi culturali e politici che hanno ingabbiato il Sud. La domanda neanche tanto implicita che ha mosso l’Autore è: la Calabria – il Meridione – è solo questo ritratto che ci hanno consegnato?. La risposta, questa volta esplicita, è: no, non è solo questo. Gli esempi riportati in questa prima parte sono tantissimi: dai romanzi ai film, dalle serie tv agli articoli di giornale. L’Autore ripercorre errori e pregiudizi, cercando al tempo stesso di sdradicare la mentalità che è alla base:

è compito di una ecologia narrativa farlo, raccontando le storie rimosse senza indulgenze e senza strategie narrative da romanzetto di genere (p. 21).

Certo, è un lavoro complesso perché è – almeno dal mio punto di vista- un lavoro di critica e autocritica: una riflessione che non deve divenire campanilismo, ma giusta salvaguardia di ciò che è stato in vista di un futuro che deve arricchirsi di altre esperienze e deve superare anche l’idea di un Sud in generale “vittima di”. Raccontare in questo senso vuol dire tener conto che la realtà si dice in molti modi, per citare Aristotele. Non appiattire certo, ma nemmeno negare o forzare.

Terminata questa prima parte teorica del volume, si apre la seconda: una serie di racconti che sono uno spaccato da cui emerge – tra aspetti surreali e fantastici, ma anche, in taluni casi, estremamente realistici – la variegata realtà calabra. Viuzze di paesi, aspre montagne, ricordi di infanzia, episodi accaduti o frutto di fantasia, tutto si muove insieme al fine di delineare un profilo che si compone di molteplici aspetti. Questa parte del volume è assai piacevole per il lettore ed esprime l’intentio profundior dell’Autore.

Lessico, modalità discorsive, mitemi. Tutti esempi rapidi e fugaci ma non per questo meno incisivi di come un linguaggio narrativo agisce e contribuisce a edificare le colonne d’Ercole dello stereotipo. Ora, i racconti di seguito presentati sono un tentativo, ciascuno stilisticamente e retoricamente diverso dall’altro, di proporre in modo concreto degli spunti in direzione di una narrativa diversamente calabra. Pur partendo da una pluralità di ispirazioni letterarie precise, vorrebbero andare oltre queste colonne d’Ercole (p. 30)

Come dicevo in apertura, raccontare la propria terra non è una cosa semplice perché non basta una sola esperienza (la propria) o un solo concetto per esprimere il tutto. Raccontare la propria terra è fermarsi nell’angolo che ti ha cresciuto, ascoltare i racconti del proprio rione, guardare le proprie montagne. Anche questo è la tua terra, certo, ma non è solo questo. Così come non è solo il male che fa rumore.

Raccontare non è cosa semplice, perché la realtà, la vita non sono cose semplici.

Giovanni Covino


Per approfondire questa visione “diversamente calabra”, consiglio questo episodio podcast dell’Autore del testo appena recensito.

Risposte

  1. Avatar Keep Calm & Drink Coffee

    Vero: non è semplice, ma quando il racconto viene dal cuore raggiunge e rapisce il lettore, nonostante possa essere imperfetto nella sua visione personale.
    Amo il legame che ognuno di noi ha con le proprie radici.

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    1. Avatar Giovanni Covino

      Sì, è secondo me importante continuare ad avere un legame con il passato e la propria terra, nonostante i cambiamenti. Grazie per la tua riflessione.

      Piace a 1 persona

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Giovanni Covino, autore e curatore del blog.