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V.
La mattina seguente Pavia era avvolta dalla nebbia come da un velo sottile bianco e freddo. La facciata romanica della cattedrale di san Michele s’intravedeva appena e le persone, avvolte in enormi sciarpe, si apprestavano a vivere la loro giornata di quotidiani impegni lavorativi e non.
Il commissario Salaris guardava la città dalla finestra, mentre sorseggiava il suo caffè e aspettava l’agente Grieco. La rigida temperatura e la foschia dell’esterno erano in evidente contrasto con il caldo dell’appartamento, ma non con l’animo di Salaris che si sentiva come perso nelle fitte trame di quel caso. La morte di Dario lo aveva sconvolto, non solo perché conosceva la vittima, ma anche perché aveva colto nei segni dello strangolamento sul collo una rabbia spaventosa, quasi impersonale. Cosa poteva spingere un uomo ad uccidere con tanta veemenza e, soprattutto, guardando gli occhi di un uomo spegnersi pian piano? Il commissario stava immaginando – seguendo il suo consueto e inusuale metodo di indagine – la scena dalla parte del carnefice. Cosa ho provato in quel momento? Quale ragione era tanto forte da permettermi di vedere gli occhi di una persona spegnersi e non provare pietà?
In quel momento, il suono del citofono interruppe la riflessione di Salaris che, preso il cappotto di un classico color cammello, scese veloce giù per le scale e salì sulla macchina del suo amico Grieco.
«Buongiorno, commissario. Non ha chiuso occhio, vero?».
«In verità, ho dormito un po’, ma era già quasi mattino. Forse le cinque. Non ho visto…ma sai…».
«Sì, ricordo…».
La macchina arrivò al commissariato di Pavia verso le 9:00. L’ispettore capo Domenico Sapi era già lì da qualche ora. Entrati nel suo ufficio, Salaris e Grieco chiesero indicazioni per la giornata.
«Andremo insieme – disse Sapi – a Linarolo, dove abita la famiglia Adelchi[MOU1] . È la loro residenza principale…almeno così dicono…».
I tre si recarono verso la macchina di Grieco che guidò per una ventina di minuti. Arrivati vennero accolti al cancello da un uomo che indicò loro la strada. Dovettero proseguire per circa seicento metri lungo un viale delimitato ai lati da una fitta siepe. Alberi e piante spuntavano in quello che sembrava essere un classico giardino all’italiana. Prima della residenza, nello spazio immediatamente antistante, c’era un enorme fontana formata da tre vasche d’acqua circolari che diventavano sempre più grandi scendendo verso il basso; dopo la terza vasca, quattro leoni erano posti lì come a sostenere la fontana prima dell’ultima e più grande vasca. Il gioco che la luce creava con l’acqua che zampillava dalla fontana era spettacolare. La residenza si presentava in uno stato dignitoso e mostrava tutta la sua importanza nelle rifiniture presenti sulla facciata.
Salaris, Grieco e Sapi scesero dall’auto e vennero accolti dal maggiordomo che li guidò verso la casa. Il portone era di un legno massiccio, con pilastri laterali in marmo e sopra, nella parte centrale dell’arco, vi era un bassorilievo con un pavone scolpito rivolto a sinistra con lunga coda e la zampa destra alzata[MOU2] . Entrati, i tre percepirono quasi uno sbalzo temporale: l’aria solenne delle stanze, l’odore che si sentiva, la luce fioca, il silenzio rotto solo dal crepitio del pavimento…era come un tuffo in un passato lontano. Il maggiordomo li guidò in una sala grandissima. Alla destra e alla sinistra dei tre poliziotti un enorme libreria, con volumi di grande valore storico, proseguiva, sia da un lato che dall’altro, fino alla metà della parete centrale. Qui iniziavano una serie di scaffalature che ospitavano oggetti d’antiquariato, trofei e foto di famiglia. Al centro della parete un camino imponente che in quel momento scoppiettava, illuminava e scaldava la sala. Poco prima del camino un classico divano a tre posti con due poltrone laterali su un grande tappeto di ottima fattura. Sulla parte destra uno scrittoio con qualche libro e un plico con, presumibilmente, dei documenti all’interno.
La famiglia era lì come un ritratto d’altri tempi: il padre di Dario, Adelmo Adelchi, seduto sulla poltrona a destra del camino, visibilmente provato; la moglie, Gisella, con una mano poggiata sulla spalla di suo marito, intenta a guardare il fuoco scoppiettare nel camino; i due figli, Lamberto e Folco, in piedi poco distanti dai genitori. Il maggiordomo introdusse gli ospiti e li annunciò.
[continua].
Giovanni Covino



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