VIII.
La casa di Remo Sciarri si trovava in una zona periferica di Torino. Un appartamento di circa 70 mq con una cucina-soggiorno, una camera da letto e un bagno. A differenza della casa visitata in precedenza, quella era ben curata. Ogni cosa al proprio posto. Lo stesso Sciarri si presentava come un uomo cordiale, anche se freddo e distaccato. Il commissario osservava l’ambiente: ogni piccolo dettaglio poteva essere il dettaglio decisivo. La strategia fu completamente diversa.
Se non hai letto il primo capitolo:
- Stanze gotiche. Un’indagine del commissario Salaris, I.
- Stanze gotiche. Un’indagine del commissario Salaris, II.
- Stanze gotiche. Un’indagine del commissario Salaris, III.
- Stanze gotiche. Un’indagine del commissario Salaris, IV.
- Stanze gotiche. Un’indagine del commissario Salaris. V.
- Stanze gotiche. Un’indagine del commissario Salaris, VI.
- Stanze gotiche. Un’indagine del commissario Salaris, VII.

«Signor Sciarri, scusi se la disturbiamo» – disse con voce pacata, gentile il commissario. «Stiamo cercando una persona che vive nei paraggi. Un anziano scomparso qualche giorno fa…stiamo facendo qualche domanda in giro. Una persona affetta da demenza senile che si è allontanata dalla propria abitazione. Alta, magra, 80 anni circa…».
«Commissario, non ho notato niente in giro…».
«Ci pensi bene…».
«Mmm…no, non credo…».
«Che bella foto!» – affermò Salaris con grande enfasi e cambiando improvvisamente discorso.
«Ah sì, qui ero con mio padre…sul lago…».
«Vedo…non c’è più?» – chiese con fare ingenuo Salaris.
«No, purtroppo, non c’è più…».
«Lei è di qui?».
«No, dopo la morte di mio padre mi sono trasferito qui a Torino».
«Ha scelto una città grande…voleva cambiare?».
Salaris cercava di far parlare Sciarri e capire qualcosa di lui, con una conversazione leggera, senza destare sospetti.
«Comunque…è proprio convinto di non aver visto in giro niente di strano?».
«No, proprio no…».
«Va bene, grazie. Grieco andiamo».
Il commissario si alzò di scatto e si avviò verso la porta. Si girò in direzione della camera da letto e vide un trofeo. Si intrufolò come fanno i bambini quando vedono qualcosa di interessante e disse:
«Anche uno sportivo?».
«Sì, facevo nuoto quando ero più giovane» – rispose leggermente infastidito Sciarri.
Era evidentemente una scusa per buttare un occhio in camera da letto. Salaris uscì dalla stanza e si diresse, con Grieco, verso l’automobile. Mentre stavano parlando, squillò il telefono. Era un medico dell’ospedale che informava il commissario del risveglio della moglie. Salaris si fece accompagnare senza perdere un secondo. Arrivò lì ed entrò, trafelato, nel reparto di terapia intensiva.
Salaris doveva dire alla moglie della morte del figlio. Non c’erano parole adatte a quella circostanza. Qualsiasi scelta sarebbe stata come una lama sottile, tagliente e arroventata. Il commissario entrò nella stanza, vide la moglie provata. Le si avvicinò. Come nei giorni precedenti, le prese la mano e la guardò.
«Sara…» – iniziò il commissario. «Sono contento di vederti. I medici dicono che ti riprenderai presto…».
«Antonio, come sta Tommaso?».
Salaris, abbassò lo sguardo. Pensò che le parole migliori fossero quelle da non dire. Quale parola avrebbe potuto mai dire l’indicibile dolore di una madre che aveva perduto il proprio figlio? Salaris pensò che il silenzio, come un maestro paziente, potesse essere in grado di guidare ad una comprensione profonda e autentica, anche se dolorosa.
E fu così.
Sara comprese.
Scoppiò in lacrime.
Salaris non poteva fare altro che tenerle mano e piangere con la madre di suo figlio. Come quel tragico giorno, il tempo sembrò fermarsi.
L’animo dei due era come sincronizzato sul medesimo sentimento di infinita tristezza.
[continua]
Giovanni Covino



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