Le parole mai dette. Genealogia di un delitto, capitolo 4

Il racconto – come i precedenti (clicca qui per altri racconti) – è frutto di fantasia dell’Autore, anche se i personaggi principali sono realmente esistiti. Di seguito alcune note importanti per la comprensione del testo…[per leggere la Nota preliminare clicca qui]. Se non hai letto i capitoli precedenti:


IV.

«Allora cosa hai scoperto?».

«La situazione è più ingarbugliata del previsto, commissa’» – disse l’uomo con un forte accento meridionale.

«Cosa vuol dire, Salvatore?»

«…e cosa vuol dire…vuol dire che i miei amici non sanno proprio che pesci prendere…questo tizio è un fantasma».

«…a me non serve un fantasma, ma un uomo in carne ed ossa».

«Lo so, lo so, commissa’…sto chiedendo a tutti…i miei contatti sono stati tutti avvisati. Dobbiamo solo aspettare qualche altro movimento. Tenete presente che in questa zona ci sono almeno due covi di quelli che voi chiamate “aggitatori ssociali”. Potrebbe essere chiunque…»

«Sì, è vero, ma non dimenticare le mie indicazioni».

«Vi potete pure sbagliare…questa vol…»

«…non mi sbaglio, Salvatore».

Salvatore Di Torre era un uomo magro, di media statura. La vita era stata dura con lui e per necessità, come tanti in quegli anni dopo l’unità d’Italia, fu costretto a spostarsi dalla provincia di Napoli con tutta la famiglia. Il commissario lo arrestò qualche anno prima per qualche furtarello, ma, comprendendo la situazione, lo aiutò. E Salvatore colse subito l’occasione.

Da quel momento divennero amici, e in certi casi anche collaboratori. Salvatore aveva il dono di capire tutti e farsi amare da tutti e Siccardi approfittava di questo dono. L’omicidio di Lou Salomé era uno di quei casi: il giorno del ritrovamento della signora e del suo primo sopralluogo, Siccardi notò una cosa che indirizzò immediatamente la sua indagine: la porta della dimora dei coniugi Nietzsche era stata, almeno apparentemente, rotta per una forzatura, un’infrazione che portava, quasi di necessità, a pensare ad una rapina non conclusa e finita male. Siccardi, però, aveva subito intuito che quello era stato nient’altro che un maldestro tentativo di depistaggio. Perciò operò in altro modo: lasciò l’appartamento. Solo sul pianerottolo scrisse quello che pensava su un foglio e lo consegnò al buon Salvatore.

«Commissa’ – riprese Salvatore – datemi ancora qualche ora».

«Va bene» – rispose Siccardi, pensieroso.

La mattina lasciò il posto ad un pomeriggio freddo e il grigio del cielo rendeva ancor più cupa l’atmosfera nel piccolo studio del commissario Siccardi. Il fumo del sigaro vorticava e accompagnava i suoi pensieri: gli occhi del commissario fissavano le linee che si creavano nella penombra dello studio per poi dissolversi pian piano. Il caso di Lou Salomé era nella sua mente già chiuso, ma aveva bisogno delle ultime informazioni per costringere l’assassino a confessare.

All’improvviso, dal corridoio un trambusto scosse il commissario che si alzò e si diresse immediatamente verso la porta. Aprì e si ritrovò dinanzi Nietzsche.

«Signor Fridrich, ditemi?» – disse il commissario, mentre uno degli uomini lo teneva ancora per la manica. «Lasciatelo» – continuò Siccardi. «Non serve. Venite. Accomodatevi».

Nietzsche entrò nello studio, illuminato solo da un fioco lume e dalla luce tenue del pomeriggio che stava per terminare.

«Cosa posso fare per voi?» – chiese con garbo il commissario.

«Niente. Voglio solo sapere cosa avete intenzione di fare? Chi è l’uomo con cui parlavate?».

«Mi stavate seguendo?»

«…ora voglio sapere chi è quell’uomo e perché non fate il vostro lavoro».

Nietzsche era su tutte le furie. Gesticolava e sputava fuori parole su parole: un fiume in piena. La voce, con quel forte accento, rintronava nella stanza come un tuono. Il commissario guardava Nietzsche, in silenzio. Aspettava.

Poi, appena il volto di Nietzsche sembrò più calmo, disse:

«Capisco perfettamente la Vostra posizione signor Friedrich, ma credetemi non siamo lontani dalla verità».

«Non ha ancora risposto alla mia domanda».

«È vero. Ha ragione».

Il commissario allora spiegò tutto al filosofo o almeno lo stretto necessario. Nietzsche ascoltava con attenzione.

«Crede quindi che sia frutto di una rapina di uno di questi anarchici presenti nel nostro quartiere?».

«Non posso escluderlo, ma sto considerando altre ipotesi» – disse Siccardi con aria apparentemente indifferente.

«Ed io cosa posso fare?» – disse Nietzsche con le lacrime agli occhi.

«Capisco che Voi siate desideroso di trovare la verità, signor Friedrich, ma non posso dirVi altro».

«…ma come mai in casa era tutto in ordine?».

«Presumo che qualcosa abbia costretto il ladro ad uscire immediatamente…credo sia questo il motivo…».

Siccardi sapeva che un uomo distrutto dal dolore avrebbe potuto compiere qualsiasi gesto perciò non andò oltre. Disse le parole giuste, nel modo giusto. Guardava Nietzsche e si rendeva conto dell’importanza di Lou: nessuna cosa al mondo avrebbe mai potuto consolare quel cuore così ferito. Il commissario si alzò e mise la sua mano sulla spalla di Nietzsche e disse:

«Ora andate a casa, signor Friedrich. Riposate».

Nietzsche non protestò. Non disse nulla. Non aveva più forza. Si alzò.

«Commissario, spero di aver presto vostre notizie».

«Non dubitate».

Passò poco meno di mezz’ora e arrivò Salvatore.

Il caso era arrivato alla sua conclusione.

Giovanni Covino

[continua]


Nota: immagine di copertina generata con IA – WordPress; immagine di Nietzsche generata con Grok di X.

Risposte

  1. Avatar Keep Calm & Drink Coffee

    Accipicchia! Questo Siccardi sa il fatto suo …

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    1. Avatar Giovanni Covino

      Eh proprio così…vediamo come finirà il racconto sabato prossimo 🙂 Grazie per la lettura e per i commenti.

      Piace a 1 persona

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Giovanni Covino, autore e curatore del blog.