Pensare e manipolare: una brevissima riflessione a margine del dibattito su IA e realismo

Lo sviluppo delle nuove tecnologie, come ogni sviluppo umano, apre orizzonti inaspettati e, al tempo stesso, pone nuovi interrogativi. Il rischio più grande e immediato è quello di non rendersi conto di alcuni pericoli e produrre e consolidare meccanismi incapaci di considerare il problema metafisico-morale come essenziale per il nostro tempo, accecati dalla scintillante potenza della tecnica. Il filosofo Hans Jonas già marcava, alcuni decenni or sono, la necessità di una riflessione adeguata circa le conseguenze dell’enorme sviluppo del progresso tecnologico della nostra epoca che, a differenza delle rivoluzioni passate, mette in discussione non il mezzo e/o l’utilizzo del mezzo, ma l’uomo stesso: “Abbiamo infatti analizzato la techne soltanto nella sua applicazione all’ambito non-umano. Ma l’uomo stesso è diventato uno degli oggetti della tecnica. L’homo faber rivolge a se stesso la propria arte e si appresta a riprogettare con ingegnosità l’inventore e l’artefice di tutto il resto. Questo compimento del suo potere, che può ben preannunciare il superamento dell’uomo, questa imposizione ultima dell’arte sulla natura, lancia una sfida estrema al pensiero etico che, mai prima d’ora, s’era trovato a prendere in considerazione la scelta di alternative a quelli che erano considerati i dati definitivi della costituzione umana” *. Gli enormi passi in avanti della techne e soprattutto di una particolare tecnologia, la cosiddetta intelligenza artificiale (Ia), rende quanto mai attuale la notazione di Hans Jonas. Tuttavia, prima di procedere, ritengo importante far riferimento a un evento datato 1955.

In quell’anno, John McCarthy – giovane matematico affascinato dalla scienza informatica – propose un workshop estivo per indagare la possibilità della costruzione di “macchine pensanti”. McCarthy, così come gli altri partecipanti che firmarono il progetto, partiva da una specifica convinzione: “The study is to proceed on the basis of the conjecture that every aspect of learning or any other feature of intelligence can in principle be so precisely described that a machine can be made to simulate it”**.

È – come dicevo – un punto di estrema importanza per il discorso in essere, per i presupposti metafisici e antropologici forse non indagati dagli autori o dati per scontato, presupposti che fanno da sfondo alle loro ricerche: la congettura di cui si parla è, de facto, una presa di posizione sulla natura dell’intelligenza e, di conseguenza, sulla natura dell’essere umano. È necessario comprendere questo punto per poter affrontare con serietà la questione e comprendere il dibattito in corso, nonché comprendersi – naturalmente – in un eventuale confronto: se i miei concetti di “natura”, “cultura”, “uomo”, “persona”, “intelligenza”, “simulazione”, sono diversi da quelli del mio interlocutore, il confronto è viziato sin dall’inizio. Ogni disputa, per tale ragione, dovrebbe partire da questa chiarificazione concettuale: nel caso specifico, occorre capire cosa intendessero gli autori poc’anzi citati quando parlavano di uomo e di intelligenza, di processo e di apprendimento, cos’è naturale per l’uomo, cos’è una simulazione e così via. Oggi, come allora, occorre mettere in chiaro questi concetti e aprire così la strada alla risoluzione di numerose controversie e, di conseguenza, ad una trattazione del problema Ia più pacata: si eviterebbero numerosi estremismi fermandosi preliminarmente sulle parole e sul loro significato. Ora, proprio questo punto mi permette di entrare nell’interessante dibattito svoltosi sulle pagine de L’Opinione su “realismo gnoseologico e Ia”.

Il fermarsi sulle parole e sul loro significato, difatti, ci pone proprio all’interno della natura della conoscenza e della conseguente differenza tra la “penetrazione” dell’essere da parte dell’intelletto umano e la manipolazione dei simboli della macchina. È qui che si gioca il discorso – come giustamente sottolineato da Daniele Trabucco e Aldo Rocco Vitale. Se la natura dell’intelligenza umana – e ritorno a quanto dicevo inizialmente – si ferma alla “costruzione” di una informazione, allora il discorso è chiuso: prima o poi si daranno macchine in grado di costruire informazioni come fa l’uomo; se, al contrario, la conoscenza non è una mera informazione, ma movimento intensivo verso l’essere – tipico del cosiddetto realismo gnoseolgico – e sua compenetrazione, beh, allora il discorso cambia: in gioco è una qualità immateriale che la macchina non potrà mai raggiungere. In estrema sintesi, pensare non è manipolare.

Giovanni Covino

Articolo pubblicato su L’Opinione


Note

(*) Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica di H. Jonas, Einaudi, Torino 1990, pagina 24

(**) A Proposal for the Dartmouth Summer Research Project di John McCarthy e altri

Risposte

  1. Avatar muʀʕat & paxlex

    Sono diversi gli aspetti che intercorrono nel credo comune e quello più forte è quello di associare la tecnologia al bene e all’evoluzione. Purtroppo, i film insieme ai media hanno la loro dose di responsabilità. Comunque sia, c’è un problema di fondo: esistono due tipi di pensiero, quello di un serio ricercatore e quello di una persona comune. Poi esistono infinite sfumature. Tra i due c’è un abisso tra conoscenze, studi ed esperienze. Il primo vuole capire, studiare, costruire, gestire e confrontarsi mentre il secondo tende a farsi passivo, a delegare, a essere pigro, a subire. Non per nulla si chiama “consumatore” e non si rende conto che invece è lui stesso ad essere consumato, perché una vita senza profondità è una vita sprecata. Tuttavia, c’è un terzo tipo di persone: quelle che vogliono crescere come essere umano, che non guardano solo al lato razionale ma fondano le loro idee nello studio, nel confronto, nell’ampliamento, nell’apertura, nel rispetto e ovviamente nel mistero. Qualcuna di queste persone cerca di aprire gli occhi ad altri ma è un vano tentativo perché l’interesse, i secondi fini, l’egocentrismo, la superficialità, il potere è troppo amato. Ogni scelta ha una conseguenza nell’interiore di ognuno e la storia ce lo insegna, sia nel bene, sia nel male. L’avvento della AI non è altro che un passo in più verso quel divario tra il bene e il male, tra il povero e il ricco, tra il potere e il popolo, tra la Realtà e la virtualità che prima o poi si strapperà e porterà alla rovina questa società. Nessun problema però, qualcuno si salverà e si spera possa comprendere dagli errori e costruire una migliore società, anche tecnologica, che però non potrà mai partire da leggi, imposizioni, tecnologia, conoscenze ma solo dal risveglio del singolo.

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    1. Avatar Giovanni Covino

      Gentile lettore, innanzitutto grazie per la Sua riflessione che in parte condivido: la tecnica – come mezzo specifico prodotto dall’uomo – ha una sorta di ambivalenza (può essere usata male o bene), sta all’uomo comprenderne bene natura e utilità (quindi il suo vero fine). Il tentativo da fare è quello di salvaguardare il buon senso comune ed evitare che la forbice tra bene e male, povertà e ricchezza, consapevolezza e inconsapevolezza diventi sempre più grande.

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      1. Avatar muʀʕat & paxlex

        Grazie. Infatti, oltre ad operare nel migliore dei modi nella propria vita e sperare che lo facciano anche gli altri non è possibile fare altro.

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  2. Avatar tisyatimmreck

    gratifying! 18 2025 Pensare e manipolare: una brevissima riflessione a margine del dibattito su IA e realismo inspiring

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Giovanni Covino, autore e curatore del blog.