E non rimase più nessuno, capitolo V: La scissione dell’Uno. L’enigma di Pitagora/parte 2

Il racconto – come i precedenti (per la pagina dedicata ai racconti clicca qui) – è frutto di fantasia. Protagonisti saranno i filosofi dell’antica Grecia. Nelle pagine che seguono ho cercato di narrare la storia della filosofia in modo diverso, intrecciando giallo, horror e comicità.

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V. La scissione dell’uno. L’enigma di Pitagora, parte 2

Il volto terrorizzato e spaesato di Telauge comparve nel chiaro scuro di quella stanza illuminata solo dalla flebile luce di una torcia. A differenza della precedente, questa non aveva nessuna botola sul pavimento, ma solo una piccola porta. Si trattava di una entrata stretta: un uomo di stazza media avrebbe avuto non poche difficoltà ad attraversarla e passare così dall’altro lato.

Pitagora si avvicinò a Telauge, rannicchiato in un angolo, tremante, annientato dal panico e dalla debolezza. Il filosofo comprese la gravità del momento e non badando alla sporcizia né al fetore lasciato dai suoi bisogni fisiologici, si chinò accanto a lui.

«Dimmi, figliolo, cosa è successo? Da quanto tempo sei qui?».

La voce rassicurante di Pitagora penetrò nel cuore di Telauge come quella di un padre premuroso. Si voltò e con il viso rigato dalle lacrime iniziò a narrare quanto accaduto.

«Ero solo, presso la nostra scuola quando, d’improvviso, fui attirato dal suono proveniente da una delle case lì vicino. Una donna, alta, con capelli lisci e lunghi, sembravano ai miei occhi una cascata d’oro, questa donna – dicevo – mi chiama dalla finestra del giardino. Io inizialmente titubai, poi decisi di avvinarmi e in un attimo, maestro, mi ritrovai avvinghiato dalla sua sinuosa bellezza. Non ricordo null’altro se non che mi svegliai in una stanza simile a questa».

«E cosa è successo in quella stanza?».

«Ho dovuto risolvere un indovinello, a dire il vero molto semplice: parlava della sacra Tetrade.

Era un indovinello legato ai numeri che la compongono».

«Poi?».

«Poi, sono arrivato qui. Un altro indovinello – il discepolo passò un pezzo di pergamena a Pitagora – ma che non sono riuscito a risolvere. Sono qui da 6 giorni, maestro».

Pitagora aprì la pergamena piegata in due e lesse il nuovo indovinello.

Telauge aveva ragione – pensò Pitagora. Si trattava sicuramente di un indovinello molto più complesso da risolvere.

«Orsù, animo Telauge, risolviamo questo enigma e usciamo da qui».

Telauge si sentì sollevato e si alzò cercando di riprendersi dalla situazione e mostrare un po’ di dignità. Solo in quel momento si accorse che i suoi abiti erano intrisi del suo terrore, della sua disperazione.

«Non preoccuparti, Telauge. L’animo dell’uomo è un abisso e chi ti ha fatto questo ha colpa, non tu».

Il discepolo sorrise e, in uno slancio d’affetto, abbracciò il maestro come un figlio il padre.

«Allora i versi debbono essere collegati alla nostra liberazione: devono quindi darci la possibilità di capire cosa fare per uscire…»

«Sì, maestro, è quello che ho pensato anch’io. E deve essere collegata alla vostra sapienza, non crede?».

«Sì, anche negli indovinelli precedenti era così. Credo possiamo essere certi di questo. Ragioniamo».

«Alcuni versi sono indecifrabili…».

«No, caro Telauge, gli unici versi per noi importanti sono il primo e l’ultimo. Vedi il titolo?».

«Sì, le lettere prima e ultima del nostro alfabeto».

«Esatto. Come nel mio primo indovinello, la chiave è il titolo: con Α e Ω l’ignoto autore vuole dirci che lui stesso è inizio e fine, ma sono risolutivi per noi i versi sull’elemento principe e sul senza confine».

«Gli elementi sono terra, acqua, aria e fuoco. Giusto?».

«Sì, e qual è il signore di questi elementi?».

«Non saprei».

Pitagora si sforzava di trovare la soluzione dell’enigma. Rilesse ad alta voce il primo e l’ultimo verso.

«Se pensiamo a quanto stiamo subendo, l’animo di questa persona deve essere come infuocato da una specie di follia. Quindi penso che si riferisca al fuoco…».

«Sì, potrebbe essere, maestro. Forse è l’elemento della passione che, anche se perversa, lui mostra di avere con questi componimenti».

«Il fuoco è la nostra prima chiave» – Pitagora si voltò e vide la torcia. «Questo è il nostro primo strumento».

Il viso di Telauge si illuminò.

«“L’ordine è il numero, il numero è l’ordine” è – continuò Pitagora – un richiamo alla mia dottrina principale. “Aprì la porta senza rumore”, invece, ci dice qualcosa sulle modalità…».

«Forse dobbiamo farlo nel silenzio della notte» – propose il discepolo.

«Non credo. Si riferisce di farlo con prudenza, in silenzio, ascoltando bene ciò che accade mentre lo facciamo».

«L’ultimo verso?».

«È il più complesso. Chiave dell’enigma».

Pitagora lesse nuovamente ad alta voce e iniziò a camminare nella stanza. Il discepolo osservava il pensiero del maestro muoversi nel suo sguardo.

«Poniamo che lui si consideri inizio e fine di ogni cosa, Α – Ω…».

«Maestro, ma Voi non avete mai parlato di queste cose».

«Sì, lo so, ma la mente del nostro amico ignoto è pervasa da una strana dottrina».

«Se lui è inizio e fine, cosa vuol dire?».

«Che si considera il tutto, la perfezione».

«Forse…».

«Forse è lui “ciò che si mostra senza confine”».

«Sì, è così. Ma dove possiamo vederlo?».

«In ciò che ha scritto, figliolo».

«Cosa vuol dire?».

«Passami la torcia, svelto».

Telauge prese la torcia dall’anello bronzeo infisso nella parete e la consegnò al maestro che iniziò a ricercare indizi nella stanza.

«Guarda» – disse Pitagora ponendo la fiamma sotto la pergamena.

Accanto al componimento, iniziarono a comparire altre lettere che lentamente formarono un altro componimento. Telauge lesse ad alta voce man mano che i versi si andavano formando:

Pitagora si muoveva in preda ad una certa ansia, cercando di comprendere il nuovo enigma. La situazione stava diventando pesante anche per lui.

«Maestro, secondo me, il secondo verso è importante».

Pitagora si fermò.

«Hai ragione».

Pitagora riprese la torcia e si avvicinò alla porta. Bisbigliò “di ferro parvenza” e avvicinò la fiamma alla porta. Il ferrò, o ciò che appariva tale, iniziò a sciogliersi e la porta si aprì.

Telauge, pieno di gioia e di entusiasmo, aprì e si fiondò nell’altra stanza. Pitagora cercò di fermarlo, ma il suo tentativo fu vano. Il giovane discepolo non appena si fermò sulla pietra nel centro della stanza venne colpito da una lunga lama. Quel perverso macchinario era stato azionato inconsapevolmente proprio dal piede di Telauge che si trovò così orribilmente tagliato in due.

Pitagora, sconvolto, entrò nella stanza e si guardò intorno. Aveva ormai compreso che quella era l’ultima stanza. La stanza della verità.

Dalla porta, apparve Aristeo.

«Come hai potuto fare questo?».

«Come?».

«Avrai compreso ormai chi sono realmente».

«Un folle» – urlò Pitagora.

«Sei tu il folle, maestro».

Aristeo corse verso Pitagora. Lo afferrò al collo. E stringeva. Era completamente impazzito. Continuava a farfugliare, a dire cosa senza senso, mentre la lama non si arrestava nel suo movimento circolare che tagliava l’aria della stanza in due.

Pitagora si riuscì a liberare dalla stretta del suo discepolo impazzito che si alzò rapidamente con quel sorriso inquietante stampato sul viso. Fece un passo indietro.

«Atteeentoooo» – gridò Pitagora in uno slanciò di pietà.

Aristeo non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi che la lunga lama di quel congegno malefico che aveva lui stesso architettato lo tagliò di netto in due parti come il povero Telauge.

Pitagora non poté che assistere inerme: una conclusione tragica e macabra.

Uno dei suoi migliori discepoli divorato dalla follia che lui stesso aveva nutrito con i suoi pensieri, con le sue azioni. Non aveva compreso la vera utilità del filosofare.

Pitagora uscì dall’ultima stanza.

Andò via, senza voltarsi.

Non uno sguardo a quella vecchia torre che aveva ospitato quell’orrore. Solo uno sguardo all’eterna armonia del cosmo.

Si fermò.

Una lacrima solcò il suo viso.

Giovanni Covino


Note al testo: le immagini sono state generate tramite IA (Grok e/o Microsoft Bing – ImageCreator).

Aristeo di Taranto fu probabilmente un discepolo diretto di Pitagora, membro della scuola e presente nel periodo in cui visse a Crotone.

Telauge è un nome legato alla cerchia pitagorica: nelle fonti è indicato talvolta come figlio di Pitagora o comunque come uno dei suoi discepoli più vicini.

Leggi il capitolo VI: L’alveare.

Risposte

  1. Avatar E non rimase più nessuno, capitolo VI: L’alveare – Briciole filosofiche

    […] Se non hai letto le due parti del quinto capitolo, La scissione dell’uno, clicca qui e qui. […]

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