Come ho spiegato in un mio recente lavoro, la realizzazione della propria vita non è un qualcosa di già dato. Con il buon uso della libertà, l’essere umano può realizzarsi: la pratica delle virtù è il mezzo per raggiungere il proprio fine, il mezzo per realizzarsi come persona.
«Avendo una natura, essendo costituito in un certo determinato modo, l’uomo ha evidentemente dei fini che rispondono alla sua costituzione naturale e che sono gli stessi per tutti, – come per esempio tutti i pianoforti che, qualunque sia il loro tipo particolare e dovunque essi siano, hanno per fine di produrre suoni che siano giusti. Se non producono suoni giusti, essi sono cattivi, bisogna riaccordarli, o sbarazzarsene come buoni a nulla. Ma poiché l’uomo è dotato di intelligenza e determina a se stesso i propri fini, tocca a lui accordare se medesimo ai fini necessariamente voluti dalla sua natura. Ciò vuol dire che vi è, per virtù stessa della natura umana, un ordine o una disposizione che la ragione umana può scoprire e secondo la quale la volontà umana deve agire per accordarsi ai fini necessari dell’essere umano. La legge non scritta o il diritto naturale non è altro che questo».
Jacques Maritain, I diritti dell’uomo e la legge naturale, Vita e Pensiero, Milano 1977, p. 56.
Per la filosofia classica – penso in particolare a Platone e ad Aristotele – le virtù fondamentali sono quattro: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Prima di parlarne, è opportuno definire il concetto di virtù e con questo apro la nuova rubrica Ordo amoris, rubrica dedicata all’etica filosofica.
Il titolo è una citazione tratta dal De civitate Dei (XV, 22) di Agostino: «unde mihi videtur quod definitio brevi et vera virtutis: ordo est amoris (Mi sembra quindi che definizione breve e vera della virtù è l’ordine dell’amore».
Il termine virtù deriva dal latino virtus che significa “forza, capacità”. Questo lemma indica tutto ciò che nobilita l’uomo sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista morale: virtuoso è, dunque, un uomo che mostra forza e capacità nel fare determinate cose, ma – soprattutto – è una persona che le compie bene, come quando diciamo:
«Tizio è un virtuoso del violino».
Il termine può essere esteso anche ad altri ambiti, come, per fare un altro esempio, quello economico:
«Per capire quanto successo, occorre tener presente l’andamento virtuoso delle banche…».
In ambito morale, virtuoso è una persona il cui comportamento tende in modo stabile al bene e vi ci dimora. Virtù, dunque, è una disposizione dell’animo ad agire bene: un’inclinazione che si è consolidata nel tempo e che nobilita la parte più importante dell’uomo, rendendolo forte e fermo nel bene. Tommaso d’Aquino insegna in modo conciso che «la virtù umana, che è un abito operativo, dev’essere un abito buono e fatto per compiere il bene» (Summa theologiæ, I-II, q. 35, a. 3, resp.).
Faccio un semplice esempio – la laurea – per comprendere questo punto tanto importante. Se decido di laurearmi per divenire esperto in un determinato settore, debbo fare tutto ciò che è necessario per conseguire il mio scopo: dovrò essere uno studente accorto e meticoloso, disporre il mio animo allo studio e perseverare nella scelta fatta con pazienza nonostante le difficoltà.
Allo stesso modo, per far maturare la mia personalità, debbo comportarmi in un determinato modo, tendere al bene e dimorare in questo spazio, l’unico in grado di farmi crescere come persona. La pratica della virtù, allora, altro non è che dimorare nel bene, ed è una pratica possibile non solo per coloro che fanno filosofia, ma per tutti gli uomini. Ciò vuol dire che pur non sapendo dare una definizione tecnica delle virtù, ogni uomo può essere virtuoso. Una persona temperante, per fare un esempio, agisce mostrando di conoscere la temperanza concretizzandola nella propria vita, pur non sapendo definire questa virtù in termini strettamente filosofici.
Le virtù più importanti, come dicevo inizialmente, sono le cosiddette virtù cardinali. Il termine “cardinale” deriva dal latino cardinalis, da cardo –dĭnis, che vuol dire “principale”, “fondamentale”, “essenziale”. Alcune virtù sono dette cardinali, dunque, perché fanno da appunto da “cardine”, sono cioè “essenziali” per la nostra edificazione morale. Quali sono?
Secondo la filosofia classica (si pensi a Platone, Aristotele, ai filosofi cristiani come Agostino, Tommaso eccetera), sono quattro: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Esse sono le virtù che permettono «la rettitudine dell’appetito», sono indispensabili per disciplinare il nostro animo e i suoi desideri, sono causa del nostro agire bene (cfr Tommaso d’Aquino, Summa theologiæ, I-II, q. 61, a. 1, resp.). A queste virtù, che regolano l’«appettito» dell’uomo, se ne possono aggiungere ovviamente altre: alcune sono connesse essenzialmente a quelle segnalate come, per fare un esempio, “la forza di carattere” è una virtù che rientra nella fortezza o la “veridicità” nella giustizia; altre riguardano la parte più nobile dell’uomo (la parte propriamente razionale) e che Aristotele definisce virtù dianoetiche. Sulla scorta dell’insegnamento aristotelico, Tommaso d’Aquino parla di esse come di quelle virtù che potenziano l’intelletto, sia speculativo che pratico, «nel bene operare»: intelletto, scienza, sapienza e arte (cfr Summa theologiæ, I-II, q. 57, aa. 1, 2, 3).
Giovanni Covino
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