Edmund Husserl (1859-1938) scelse di dedicarsi alla filosofia dopo aver ascoltato, tra il 1884 e il 1886, le lezioni di Franz Brentano (1838-1917): in quell’occasione, infatti, Husserl ebbe la convinzione che la filosofia fosse un rispettabile campo di lavoro e che potesse essere trattata nello spirito della scienza più rigorosa.
Questa persuasione non verrà mai abbandonata dal filosofo tedesco, anzi, leggendo le sue opere, possiamo ancora oggi cogliere la passione di questa mente, passione che, giustamente, lo ha portato ad essere annoverato tra i maggiori esponenti della filosofia del scorso secolo.
Husserl insegnò a Gottinga e a Friburgo, poi, con l’affermarsi del nazismo, lui che era di origine ebrea, fu radiato dall’università. Ebbe come allievi tra gli altri Max Scheler (1874-1928), Edith Stein (1891-1942) e Martin Heidegger (1889-1976). Le sue opere principali sono: Ricerche logiche (1900), La filosofia come scienza rigorosa (1911), Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (1913), Meditazioni cartesiane (1928), La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1954, postuma). Tra il 1938 e il 1939, il frate francescano Leo Van Breda riuscì a salvare l’enorme lascito del filosofo (circa 40.000 pagine), portandolo a Lovanio e attendendo alla pubblicazione.
Quanto detto poc’anzi sull’importanza di Brentano per Husserl, è confermato da Sofia Vanni Rovighi (Filosofia della conoscenza, ESD, Bologna 2007, pp. 324 e ss.), attenta studiosa del filosofo. La studiosa italiana, nella sua acuta analisi, ci dice che Husserl eredita alcune tesi dal suo maestro Brentano che non abbandonerà più. È possibile sintetizzare questa eredità in tre punti:
- la filosofia come scienza rigorosa: ciò si tradurrà in fenomenologia come metodo per una filosofia razionale e rigorosa delle essenze che si preoccupa di purificare i fenomeni psicologici dalle caratteristiche empiriche;
- l’evidenza oggettiva come criterio di verità;
- il concetto di intenzionalità : riguarda i «vissuti della coscienza»: si tratta di “qualcosa” di interno alla coscienza.
La fenomenologia è intesa da Husserl come un ritorno alle cose: questo lasciar ritorno ha lo scopo di cogliere le “cose” sotto l’aspetto che più interessa la coscienza umana (le essenze). Occorre liberarsi da tutte le opinioni preconcette (sospensione del giudizio o epoché). Il filosofo, per cogliere tale essenza compie una riduzione eidetica, cioè prescinde dal fatto che l’oggetto possegga un’esistenza reale.
Analisi della posizione di Husserl
Di grande importanza – per comprendere la riflessione di Husserl – è il concetto di evidenza come presenza oggettiva: esso, infatti, sta alla base della sua filosofia fenomenologica, il cui metodo è sintetizzato dal motto «zu den Sachen selbst!» (=Andare alle cose stesse!). Quando nelle Logische Untersuchungen espone la nozione di evidenza, Husserl osserva che l’evidenza ha la caratteristica del fondamento primo, essendo l’ultima base (nel processo a ritroso della coscienza critica) cui si perviene nell’indagine sulla verità: l’evidenza – spiega Husserl – è l’autorità ultima in ogni questione concernente la conoscenza. La conoscenza si perfeziona però nel giudizio, nell’affermazione veritativa: il giudizio è il locus veritatis. Queste posizioni sembrano avvicinare Husserl al realismo gnoseologico, secondo cui il giudizio “mette” insieme delle essenze e risulta vero quando tale “connessione” corrisponde alla realtà esterna esperita. Tuttavia, se teniamo presente il concetto di intenzionalità di cui sopra e gli sviluppi del metodo fenomenologico, notiamo una caduta in una sorta di illusione della purezza: è proprio da questo obiettivo, infatti, che nasce l’esigenza della «epoché», cioè della «volontaria messa tra parentesi delle certezze riguardanti il mondo empirico, il mondo dei fatti, le realtà contingenti, insomma tutto ciò che costituisce la tesi naturale o certezza spontanea della gente. La fenomenologia non nega queste certezze, ma nemmeno le convalida, perché ciò equivarrebbe – scrive Husserl – a ricadere nel “dogmatismo realista” o “realismo dogmatico” (secondo la denuncia di Kant); e così viene messa fuori gioco gran parte della certezza riguardante la realtà» (A. Livi, Il principio di coerenza, Armando, Milano 1997, p. 70). Leggiamo quanto scrive lo stesso Husserl:
«In questo modo, rispetto ad ogni atto che avevo effettuato ingenuamente, posso effettuare una epoché “fenomenologica”, come possiamo dire già qui in un senso preliminare […]. Io posso assumere l’atteggiamento dello spettatore interessato teoreticamente al vissuto egologico fenomenologicamente puro, e divento tale mediante una epoché che nega a tutti gli oggetti tematici dei rispettivi atti l’interesse relativo alla validità. E, ovviamente, in questo consiste la messa fuori circuito fenomenologica».
E. Husserl, Filosofia prima. Teoria della riduzione fenomenologica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, pag. 140
La fenomenologia si presenta, quindi, come uno studio dei vissuti della coscienza, presi come assoluti che trascendono la realtà esterna.
Con questo metodo, Husserl cade nel circolo vizioso del problema critico: non accettare nulla di previo alla ricerca, in uno sforzo ad oltranza che pretende di vagliare tutto, convinto di riuscire così a trovare un punto di partenza puro. Bisogna «sospendere – come spiega molto bene Vanni Rovighi – il giudizio su tutto quello che ci dicono le dottrine filosofiche storicamente esistenti, su tutto quello che ci insegnano le scienze, su tutto quello che ognuno di noi deve affermare e presupporre per condursi praticamente: cioè l’esistenza di un mondo di cose esistenti nello spazio e nel tempo. Questo atteggiamento è chiamato da Husserl epoché e ha qualche analogia vuoi col dubbio scettico (dal quale prende il nome), vuoi, specialmente, col dubbio metodico cartesiano». Si tratta di «prescindere da certe persuasioni nella costruzione della filosofia, si tratta di metterle fra parentesi di non metterle a fondamento della costruzione filosofica. Non è che l’uomo filosofante debba mettersi, come uomo, a dubitare dell’esistenza del mondo: deve semplicemente non dedurre nessuna proposizione filosofica dalla persuasione dell’esistenza del mondo, poiché a fondamento della costruzione filosofica va messo soltanto ciò che è intuito, ciò che indubitabilmente evidente. Ora non solo non è assolutamente evidente per esempio che i corpi siano costituiti di molecole, atomi ecc., ma non è indubitabilmente evidente neppure che esista, indipendentemente dalla coscienza, il mondo in cui credo e debbo credere nella mia vita pratica. È assolutamente evidente che questo mondo è presente alla coscienza, che appare: dunque ciò la cui esistenza è assolutamente evidente è la coscienza a cui appare tutto ciò che appare, è il cogito coi suoi cogitata» (Filosofia della conoscenza, cit. pag. 329). Ma leggiamo ancora quello che dice Husserl:
«Applichiamo all’oggetto, per così dire, una parentesi che lo mette fuori circuito, un indice che dice: qui voglio inibire ogni validità, ogni interesse al valore e così via, voglio far valere l’oggetto soltanto come elemento intenzionale del suo atto, dell’atto che gli attribuisce validità; voglio interessarmi soltanto all’atto e a ciò che esso stesso pone come oggetto, caratterizzato tematicamente in questo modo determinato. Se procedo in questa maniera, dispongo della componente soggettiva fenomenologicamente pura e, in essa, del suo oggetto nella forma di validità modificata di mero oggetto intenzionale del proprio atto. Pertanto, non è che io diventi cieco nei confronti dell’oggetto come in una specie di autoipnosi (addirittura come se, passando alla messa fuori circuito del mondo intero, diventassi cieco nei suoi confronti); al contrario, io continuo a vedere tutto. Tuttavia, nella scissione dell’io, vengo appunto costituito, al contempo, come semplice vedente e come soggetto che esercita una pura conoscenza di sé; e tutto ciò che è semplicemente visto esiste entro la modificazione della parentesi, ed visto in quanto è posto tra parentesi».
E. Husserl, Filosofia prima. Teoria della riduzione fenomenologica, cit. pag. 143
Il «mondo della vita quotidiana» viene messo fuori gioco perché incapace, secondo Husserl, di fondare un sapere ed è lontano, dunque, da quella purezza della costruzione filosofica a cui egli aspira come filosofo. Vi è in questo una netta cesura tra il mondo delle cose e lo spirito dell’uomo che conosce: ciò che conta è la coscienza e i suoi contenuti.
Tuttavia, come già detto, l’atteggiamento critico non può essere radicale, nel senso che non può prescindere dal presupposto dell’esperienza originaria della realtà esterna.
Giovanni Covino