Il lettori di Briciole filosofiche hanno avuto già modo di incontrare articoli sull’esistenza del primo principio. Ho dedicato diverse pagine a questo importante argomento filosofico. Ora propongo una breve, ma sottile analisi del tema di M. Padovano: l’Autore mostra la necessità del primo principio partendo dalle riflessioni sempre attuali di Aristotele e Tommaso d’Aquino [Giovanni Covino].
L’immediata evidenza del divenire. Aristotele ha dimostrato contro l’eleatismo che la realtà del divenire è innegabile. Anche quando la si intendesse come illusione, dice lo Stagirita, bisognerebbe analizzare e spiegare questa illusione. Inoltre se tutto è l’Essere allora tale illusione non potrebbe affatto esistere nemmeno come illusione. Infatti ci sarebbe l’Essere e l’illusione. Ma l’illusione se c’è allora è essere ma ciò è contraddittorio perché per illusione si intende ciò che non c’è, che non è realtà. Insomma se tutto fosse Essere non ci potrebbe essere nemmeno il supposto inganno dei sensi. Così anche per quanto riguarda i paradossi di Zenone possiamo obiettare che se il divenire è contraddittorio esso non potrebbe affatto darsi nemmeno come supposta “illusione dei sensi” perché questa stessa illusione sarebbe ad un tempo e sotto lo stesso aspetto qualcosa e un non – qualcosa. Ma il divenire si dà, in qualche modo ma si dà.
Ora Aristotele, come si sa, risolve le aporie eleatiche relative alla intelligibilità del divenire con la dottrina della potenza e dell’atto e la dimostrazione del primato dell’atto (cosiddetto principio di causalità). San Tommaso d’Aquino nella sua prima via per dimostrare l’esistenza di Dio è colui che più di tutti mette a frutto le scoperte aristoteliche.
Abbiamo due formulazioni della prima via: una nella Summa contra Gentiles e un’altra nella Summa Theologiae. La prima considerazione da fare è che essendo il divenire passaggio dalla potenza all’atto ed essendo la potenza quasi un “non essere ancora” mentre l’atto un “essere già”, tale passaggio non è possibile in virtù della sola potenza perché essa è mancanza dell’atto e dunque non può attuarsi da sola. Tantomeno è possibile parlare di preesistenza in ciò che diviene dell’atto perché ciò che è già in atto non cambia più in relazione a quell’atto, ma è già in atto e dunque non nel relativo divenire. È necessario dunque che ci sia un ente che è già in atto e che comunica l’atto all’ente che è in potenza ad esso. Questo è il principio di causalità o primato dell’atto: omne quod movetur ab alio movetur. Nella Summa theologiae, San Tommaso giunge al Primo Motore, Motore immobile nel modo seguente:
«Prima autem et manifestior via est, quae sumitur ex parte motus. Certum est enim, et sensu constat, aliqua moveri in hoc mundo. Omne autem quod movetur, ab alio movetur. Nihil enim movetur, nisi secundum quod est in potentia ad illud ad quod movetur, movet autem aliquid secundum quod est actu. Movere enim nihil aliud est quam educere aliquid de potentia in actum, de potentia autem non potest aliquid reduci in actum, nisi per aliquod ens in actu, sicut calidum in actu, ut ignis, facit lignum, quod est calidum in potentia, esse actu calidum, et per hoc movet et alterat ipsum. Non autem est possibile ut idem sit simul in actu et potentia secundum idem, sed solum secundum diversa, quod enim est calidum in actu, non potest simul esse calidum in potentia, sed est simul frigidum in potentia. Impossibile est ergo quod, secundum idem et eodem modo, aliquid sit movens et motum, vel quod moveat seipsum. Omne ergo quod movetur, oportet ab alio moveri. Si ergo id a quo movetur, moveatur, oportet et ipsum ab alio moveri et illud ab alio. Hic autem non est procedere in infinitum, quia sic non esset aliquod primum movens; et per consequens nec aliquod aliud movens, quia moventia secunda non movent nisi per hoc quod sunt mota a primo movente, sicut baculus non movet nisi per hoc quod est motus a manu. Ergo necesse est devenire ad aliquod primum movens, quod a nullo movetur, et hoc omnes intelligunt Deum».
Analizzando la prova notiamo che innanzitutto essa muove dall’evidenza del divenire. Qui il termine motus non va inteso come moto locale simpliciter, ma come passaggio di stato. Anche il moto locale può essere inteso in questo senso: dalla quiete al movimento, ad esempio, dalla potenza a stare in un punto all’atto di stare in un altro (anche nel caso di un moto locale supposto perpetuo). La seconda nota riguarda il principio dell’improcedibilità all’infinito. San Tommaso dice: hic autem non est procedere in infinitum. In questo caso non è possibile procedere all’infinito. In De aeternitate mundi San Tommaso stesso aveva parlato della possibilità di ammettere una serie infinita di cause del sorgere del divenire (causae fiendi), di un divenire eterno. Per Aristotele addirittura non si dava che un mondo eterno. Eppure i nostri due grandi metafisici parlano di improcedibilità all’infinito nella serie delle cause del divenire in quanto tale. Diciamo appunto che l’improcedibilità non riguarda i singoli processi ma il divenire in quanto tale. Riguarda la serie delle causae essendi degli enti divenienti in quanto divenienti, ragioni dell’essere dei loro effetti. E questo perché si spiega la possibilità del divenire solo se si trascende il divenire stesso. Per capirci possiamo ricorrere ad un esempio fatto da Sofia Vanni Rovighi (Elementi di filosofia II, La Scuola1964, p.104):
«Primo tipo: Tizio ha bisogno di dieci lire e le chiede a Caio; Caio non le ha ma le va a chiedere a Sempronio; Sempronio non le ha ma le va a chiedere ad un altro e così via. O si arriverà finalmente ad uno che possiede dieci lire oppure si deve procedere all’infinito e Tizio non avrà mai le sue dieci lire. Secondo tipo: Tizio ha bisogno di dieci lire e le chiede a Caio, Caio le ha e gliele da’ ma poi ha bisogno a sua volta di dieci lire e le chiede a Sempronio e così via. In questo caso la procedibilità all’infinito può essere ammessa».
Dunque non può essere ammesso il regresso all’infinito nelle cause del divenire in quanto tale altrimenti il divenire non sarebbe mai. Ciò che si muove è mosso da altro, altrimenti sarebbe in atto e in potenza allo stesso tempo e sotto lo stesso aspetto, il che è contraddittorio. Ora se quest’altro fosse a sua volta in divenire avrebbe bisogno per divenire ancora di un altro ente già in atto e se questo è diveniente a sua volta ancora di un altro e così all’infinito. In questo modo essendo l’infinito in-pertransibile non avverrebbe mai alcun mutamento e dunque il divenire risulterebbe impossibile e inspiegabile, il che è assurdo.
Dunque è necessario risalire ad una prima causa che muove tutto il resto e che non è mossa da alcun altra causa. Questa prima causa si chiama nella terminologia aristotelica Motore immobile. Il Motore immobile per essere in-diveniente come deve essere è necessario sia Atto puro, privo di ogni potenza (passiva).
Fr. Mario Padovano op