Guardare e ammirare la virtù: l’altezza che nobilita

La persona che riflette sul tema della sofferenza ha la possibilità di percorrere due strade: la prima è percorsa da chi cerca in tutti i modi di trovare una spiegazione alla sofferenza particolare, di rinchiudere nei propri reticoli concettuali la singolarità dell’esperienza del dolore e della sofferenza; la seconda, invece, è la strada percorsa da chi affida il proprio cammino non solo alla ragione, ma, consapevole dei propri limiti, si affida anche ad alcuni segnali posti sul ciglio. Si tratta, in questo secondo caso, di un cammino spesso poco agevole, ma è proprio qui che la ragione naturale incontra i tesori della sapienza religiosa.

Il lavoro di Tommaso d’Aquino sul testo di Giobbe percorre proprio questa seconda strada, e lo fa meditando gli scritti «di coloro i quali con lo spirito divino hanno raggiunto la sapienza necessaria per ammaestrare gli altri» (p. 24). Dopo aver confutato la tesi dei “teorici del caso”, premessa necessaria per affrontare lo spinoso tema della sofferenza del giusto, Tommaso procede commentando il primo capitolo del Libro di Giobbe: si tratta di un capitolo assai ricco che parte dalla descrizione della figura di Giobbe e delle sue ricchezze e termina con la meditazione delle prime sventure e della reazione del protagonista di questa triste vicenda.

Il cuore di questo capitolo è rappresentato dalla descrizione dell’integrità morale di Giobbe e dal rispetto e dall’ammirazione che tale uomo suscita nel lettore. Giobbe è uomo che serve il Signore e segue la via dei comandamenti non per convenienza (come invece afferma Satana parlando con Dio – si tratta di una calunnia), ma perché è sinceramente unito a Lui: Giobbe – dice Tommaso – è definito “servo di Dio” perché è «unito affettivamente a Lui […] aderisce spiritualmente a Dio […] essendo servo non per paura, ma per amore» (p. 36).

L’amore di Dio e dei suoi comandamenti è ciò che il lettore deve tener sempre presente per comprendere la storia di Giobbe: è questa la sorgente da cui scaturisce la forza per reagire, nonostante – come vedremo – la sofferenza, i dubbi, lo sconforto e l’incomprensione. In questo senso, la storia vissuta da Giobbe è un messaggio universale che illumina la singolarità dell’esistenza di ognuno: non si tratta di razionalizzare e chiudere l’esistenza in un singolo esempio, ma guardare e ammirare le virtù del giusto che generano rispetto o – come dice Immanuel Kant – portano lo spirito ad inchinarsi perché «il suo esempio mi presenta una legge che abbatte la mia presunzione, se paragono questa legge col mio metodo di procedere e vedo dimostrata mediante il fatto l’osservanza di questa legge, e quindi la possibilità di eseguirla». Da qui «il rispetto», «un tributo che, volere o non volere, non possiamo negare al merito; possiamo magari non lasciarlo apparire esteriormente, ma non possiamo impedirci di sentirlo interiormente» (I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Roma 1995, p. 169).

Giovanni Covino

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