La vita come domanda temporale di eternità. Caterina da Siena e l’Intelletto d’Amore

«Caterina da Siena è, per me, il non plus ultra di ciò che ho sempre cercato nella vita: dalla filosofia praticata, studiata e insegnata alla teologia».

Così Massimo Roncoroni congeda il lettore al termine del suo prezioso lavoro su Caterina da Siena. Sono partito da qui, dalla fine, perché queste parole sono l’espressione immediata della passione che ha animato e guidato non solo il lavoro, ma direi la vita dell’amico Massimo.

Inoltre, queste stesse parole sono una straordinaria sintesi del volume: Caterina da Siena e l’intelletto d’amore (Fede&Cultura, Verona 2021, pp. 174) è, difatti, un testo in cui le riflessioni filosofiche e teologiche si intrecciano nell’unità di vita e pensiero e dal quale emerge una figura (che è stata ed è per l’Autore) immagine viva di tale sintesi: in Caterina – afferma Roncoroni – «ho ritrovato la filo/Sofia come amore di Sofia, sintesi di affetto e di bene e di intelletto di vero nell’unico atto puro dell’Intelletto d’Amore» (p. 170). Precisamente, il non plus ultra.

Questa sintesi è estremamente importante poiché essa si presenta come il superamento dello stato di “disperazione”, stato che – secondo la lezione kierkegaardiana – è una vera e propria malattia dell’animo umano. L’uomo è costretto, è come rinchiuso in una stanza e una sorta di “contraddizione penosa” attanaglia il suo cuore. Un movimento dello spirito su stesso, un vortice di non-senso. Kierkegaard lo descrive lucidamente quando dice che «il disperato è malato a morte [e che] la morte non è la fine della malattia, ma la morte è, continuamente, la fine estrema […]. Questo è lo stato dell’anima in disperazione».

Tuttavia, è proprio partendo da qui che l’uomo scopre la possibilità di ritrovare la sua strada e comprendere che egli stesso è in possesso della chiave ed aprire la porta. È una sorta di “passaggio” – per usare un termine caro al filosofo poc’anzi citato – e che consiste nel comprendere la “verità dell’io”, è l’incontro con il proprio principio e riconoscersi per quello che si è: una creatura.

La consapevolezza della propria creaturalità (esperienza del cor inquietum) – «sai chi sei tu e chi sono io? Se saprai queste due cose sarai beata. Tu sei quella che non è, io, invece, Colui che sono» (p. 11) – è centrale nel discorso di Caterina. La santa è ben consapevole della «drammatica situazione» in cui versa l’uomo che «cerca ansietatamente il bene vero, capace di farlo felice» (p. 19) e Roncoroni acutamente lo rileva quando dice: «tutta la vita si manifesta come domanda temporale di eternità, ché tutta la vita e il pensiero umani chiedono l’eternità» (p. 107).

Solo questa Eternità, in cui Intelletto e Amore sono una solo cosa, può soddisfare e placare il desiderio di verità e di bene presenti nell’uomo. Questo – il desiderium Dei vivendi – è il messaggio più importante di questo prezioso contributo di sapienza metafisica e teologica di Massimo Roncoroni.

Giovanni Covino

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