Segnalo ai lettori di Briciole filosofiche il nuovo volume di Fulvio Di Blasi, Vaccino come atto d’amore? Epistemologia della scelta etica in tempi di pandemia. Si tratta del secondo volume sul tema dei vaccini dopo La morte di Phronimos (per una recensione clicca qui). L’Autore è avvocato e dottore di ricerca in filosofia del diritto. È un esperto di etica e del pensiero di Tommaso d’Aquino. Ha insegnato in diverse università, tra cui la University of Notre Dame (USA), The John Paul II Catholic University of Lublin (Polonia), l’Università Pontificia della Santa Croce (Roma) e la LUMSA (Palermo).
Vaccino come atto di amore? ripercorre i fondamenti dell’analisi dell’atto morale per riscoprire che cosa significa fare il bene o fare il male sia nella tradizione cristiana che in quella del pensiero occidentale, anche giuridico. La scelta etica presuppone la conoscenza adeguata di tutti i fattori rilevanti dell’agire. Il libro si concentra sulla definizione di “vaccino anti Covid” come possibile oggetto di scelta (individuale o collettiva) e sui motivi che possono generare su di esso dubbi e incertezze.
Di seguito un paragrafo dell’Introduzione che il blog riproduce per gentile concessione dell’Autore.
Dalla pandemia al presente libro
Da quando è cominciata la pandemia, mi sono rassegnato come tutti gli altri a tutto ciò a cui tutti dovevamo rassegnarci. Il primo lockdown, il secondo, i coprifuochi, le mascherine, i gel disinfettanti, le difficoltà lavorative e familiari, le norme per andare a Messa e al supermercato, l’abolizione di viaggi e vacanze, le nuove ondate, le speranze sui vaccini che, forse, ci avrebbero salvato; e, ancora, la crisi dell’economia, la monopolizzazione delle notizie esistenziali e massmediatiche, incentrate ogni giorno sul bollettino dei morti e dei contagi, sui nuovi focolai, sulle nuove zone gialle o rosse, sulle ultime regole da seguire, sulle reazioni dei singoli stati, ma anche su alcuni nuovi personaggi dello spettacolo televisivo, specialmente i virologi e gli epidemiologi o presunti tali. Ho preso familiarità con cose di cui prima quasi ignoravo l’esistenza, almeno sotto il profilo esistenziale, ma che sono entrate prepotentemente tra le mie fonti di interesse e informazione quotidiane. Cose come le agenzie responsabili dei farmaci, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, i loro protocolli e conflitti di interesse, le procedure per l’approvazione emergenziale, le riviste e i dipartimenti universitari di medicina. Ho accettato a malincuore di leggere e discutere di tutte queste cose ogni giorno nei social network. Ho anche vissuto esperienze nuove di cui ho un bilancio positivo o ancora incerto. I miei bambini piccoli hanno avuto un contatto coi genitori che pochi bambini hanno mai avuto nel nostro mondo frenetico. La bambina è nata subito prima del primo lockdown. Grazie a Dio, eravamo appena riusciti a riparare casa da gravi problemi di muffa e infiltrazioni e a farvi ritorno tra fine gennaio e febbraio 2020. Con mia moglie, anche lei avvocato, studiosa e appassionata di cultura e… di tutto, non avevamo mai immaginato di trascorrere dei periodi così lunghi di isolamento, lavoro e intimità monacali. Anche noi a casa abbiamo avuto le nostre ondate e novità normative. C’è stata quella della pizza e dei dolci fatti in casa. C’è stata quella dello sport fatto coi bambini in terrazza (anche per smaltire i dolci e la pizza). C’è stata quella del camping in terrazza, dove abbiamo montato sotto Natale 2020 una grande tenda familiare su prato artificiale, circondata da luci natalizie a energia solare (il budget vacanze è stato speso nel 2020, e con risultati migliori, in questo modo). C’è stata quella del presepe gigante da terrazza, con motorino e cascate dell’acqua e piante ornamentali vere, costruito a casa coi bambini intagliando e dipingendo il polistirene e le tavole di legno per la capanna. C’è stata quella dei tentativi di homeschooling, anche con l’aiuto di nonni eroi che venivano il più possibile, nonostante i coprifuoco e i tamponi occasionali, anche per consentirci ogni tanto di isolarci in una stanza per lavorare. Ci sono state esperienze familiari così belle e genuine che, a volte, con mia moglie, abbiamo perfino ringraziato della pandemia, grosso modo con quello spirito con cui, nella Messa di Pasqua, fin da Sant’Agostino ci si riferisce al peccato originale in termini di felix culpa. Lo smart working e lo sviluppo di nuove potenzialità di lavoro online sono certamente tra gli aspetti positivi dell’epidemia. Oggi abbiamo imparato meglio come si possono fare tante cose a distanza con le tecnologie di cui disponiamo. Lo smart working consente a molte persone e in tanti modi di conciliare meglio la vita professionale con quella personale e familiare. Speriamo non si torni indietro su alcuni di questi sviluppi, dopo che l’emergenza sarà passata. Ripenso a tutto questo, non senza trasporto, per dire che, anche nei momenti peggiori della pandemia, non avevo mai pensato di compiere uno sforzo professionale per parlarne. Perfino quando, prendendo sul serio alcune perplessità di mia moglie, ebbi un ripensamento sui vaccini e sulle politiche dei governi, e quando mi misi a studiare con maggiore attenzione professionale le fonti di informazione rilevanti e ad ascoltare online lectures e convegni specialistici sul tema, non pensai neppure per un attimo di scriverci un libro. Perfino quando iniziò la caccia alle streghe contro i cosiddetti no vax, quando i mass media e la politica iniziarono a trattare me, mia moglie e tanti nostri amici e colleghi che avevano dubbi sui vaccini e sulle decisioni da prendere in merito ad essi come se fossimo pazzi e idioti da deridere e insultare pubblicamente… Neppure in questo frangente pensai di scrivere un libro sul tema. Anzi, la mia reazione iniziale fu l’opposto. Decisi di smettere di leggere molti giornali e di guardare la televisione e mi concentrai su altri libri che stavo scrivendo. Purtroppo, stralci odiosi di talk show pseudo giornalistici condotti all’insegna dell’ignoranza, dell’arroganza e dell’insulto mi tormentavano lo stesso tramite le clip che ne giravano inevitabilmente sui social. Ma neppure questo mi stimolò al punto da trasformare tutto ciò che avevo studiato e maturato sulla pandemia in un libro. Qualche post ironico, adirato o stupito sui social mi bastava per distrarmi, sfogarmi e tornare al mio lavoro abituale. Una cosa però fece traboccare il vaso, e non riguardava la mia vita professionale ma la mia vita di fede. Le istituzioni politiche avevano infranto il loro dovere fondamentale di rispettare la verità e la libertà dei cittadini. Avevano violato il diritto di ogni persona libera ad una informazione corretta e onesta. Avevano cercato demagogicamente di orientarne e piegarne la volontà, l’intelligenza e la condotta. I medici, dopo la prima ondata di eroismo, così carico di magnanimità ed esemplarità, si erano lasciati infine mettere le briglie e standardizzare al ribasso da un potere politico che li voleva burocrati e lontani dai pazienti, almeno fino alle ospedalizzazioni. Si erano lasciati sostituire da direttive povere e generiche di impersonali agenzie governative, ridurre ad attacca francobolli, mortificando l’esercizio di una professione che inizia e finisce sempre con la cura e le attenzioni per il paziente. Gli scienziati avevano fallito anche loro nel lasciare che un riferimento generico, magico e mistico ad un’entità superiore e inesistente chiamata “la Scienza” si sostituisse, nel sentire comune e nella demagogia di politici e giornalisti ignoranti e senza scrupoli, alle discussioni serie e reali tra gli studiosi e al pensiero critico. Il giornalismo era morto, sostituito dalla volontà di potenza di chi ha in mano i mezzi di informazione e decide di utilizzarli solo ed esclusivamente per convincere tutti dei propri pregiudizi e per farli conformare alle decisioni della classe politica. Ma il giornalismo non dovrebbe essere il baluardo dell’inchiesta e della democrazia reale proprio in periodi in cui la politica rischia di avere troppa mano libera e troppo potere? Nonostante tutto, però, nonostante tutti questi fallimenti, mi continuava a bastare spegnere il televisore, chiudere le pagine online dei quotidiani di regime e concentrarmi sulla mia famiglia, sulla mia ricerca e sui miei libri. Una cosa, come dicevo, mi ha infine bloccato dall’atteggiamento di chiudere la porta e starmene a casa a fare le mie cose: il fallimento della chiesa. Mi riferisco, naturalmente, non alla Chiesa vera, cioè al Corpo Mistico di Cristo che vive nel mistero del Suo Popolo, e che cammina nella storia assistita dallo Spirito di Verità. La Chiesa vera è l’umanità di Cristo, Dio incarnato che diventa sacramento, che diventa mistero della presenza di Dio in mezzo a noi. Quando Dio si fa uomo, la materia diventa contatto diretto col soprannaturale: «”Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?
Fulvio Di Blasi
Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?» (Gv 14, 9-10). L’Incarnazione non finisce con l’ascesa al Cielo di Gesù. L’incarnazione resta fino alla fine dei tempi, solo che dopo l’ascensione il mistero sacramentale raddoppia. Mentre duemila anni fa Gesù lo vedevamo e, toccando la sua umanità, toccavamo realmente e misteriosamente Dio, adesso non lo vediamo ma tocchiamo realmente e misteriosamente Dio toccando la Sua umanità sacramentale, realmente presente nel suo Popolo. Chi non capisce che la Chiesa è il Corpo di Cristo incarnato che continua a camminare ed agire misteriosamente nella storia con le gambe e le braccia dei suoi fedeli non ha capito niente di interessante della Chiesa. Questa Chiesa, per un credente, non può mai fallire. Gli uomini, però, sono fallibili e peccatori. Perfino il giusto pecca sette volte al giorno, il che è un monito importante contro qualsiasi presunzione e idolatria delle personalità. Qui sulla terra, nessuno è santo e tutti dobbiamo sempre stare molto attenti. Solo il Popolo di Dio nel suo complesso è Santo, perché è il Corpo di Cristo. La chiesa come istituzione umana è fatta di uomini che sono tutti fallibili, a partire dal Papa (eccetto naturalmente per quelle rarissime volte nella storia in cui parla ex cathedra di cose di fede e di morale). La Chiesa come Popolo militante (cioè, senza considerare chi sta in Purgatorio e in Paradiso) è fatta di tre tipi di fedeli, tutti chiamati allo stesso modo ad essere santi e tutti cellule del Corpo Mistico di Cristo: ci sono i chierici (diaconi, presbiteri e vescovi), ci sono i religiosi (che fanno i voti e che potrebbero anche essere al tempo stesso chierici) e ci sono i fedeli laici. Nessuno è di serie A e nessuno di serie B o C. La dignità di ogni fedele si radica nella chiamata alla comunione con Dio e nel lasciare che Cristo operi in lui nella storia del mondo. I chierici hanno una responsabilità istituzionale, ma se alcuni o molti chierici sbagliano Cristo opererà di più tramite altri fedeli, perché la Chiesa vera, sacramentale, non è mai nelle mani di nessun singolo o gruppo di meri uomini. Quando parlo del fallimento della chiesa in questi tempi di pandemia, mi riferisco quindi al fallimento di molti chierici (non tutti, grazie a Dio), che dovrebbero parlare del messaggio di salvezza del Vangelo e delle verità rivelate da Dio e invece parlano di vaccini e di green pass come se ciò appartenesse al depositum fidei. Parlo del fallimento di una chiesa che genera dubbi etici su cose che appartengono alla coscienza e al ragionamento prudenziale di ogni fedele. Parlo di una chiesa che si allinea e si allea col potere politico o economico, scambiando il proprio ministero soprannaturale per un servizio assistenziale alle politiche dubbie o opinabili dei regnanti di turno. Parlo di una chiesa che sta zitta di fronte alla demagogia e alla disinformazione. Parlo di una chiesa indifferente alla persecuzione di tanti giusti. Parlo di una chiesa che discrimina e genera conflitti tra i propri fedeli a vantaggio delle politiche transitorie di governanti utilitaristi. Parlo di una chiesa che ha stravolto le sue priorità e gerarchie valoriali. Ma dove sono gli atei e gli anticattolici che gridano sempre al presunto oscurantismo medievale in questi giorni in cui il potere spirituale e il potere temporale sembrano camminare inspiegabilmente a braccetto? Quando gli “uomini di chiesa” elogiano troppo i politici o gioiscono troppo delle loro attenzioni o le ricercano troppo o manifestano troppi complessi di inferiorità rispetto alle istituzioni politiche o non sanno più distinguere le libertà della Chiesa dalle libertà della politica io divento particolarmente preoccupato. I chierici non sono più intelligenti dei fedeli laici. Spesso è il contrario. E questo è il motivo per cui si rendono così di frequente ridicoli con i politici e i potenti di turno. Molti chierici sono complessati perché non si sentono all’altezza del mondo. L’economia, la politica, la scienza sono per loro troppo in alto, troppo irraggiungibili, e, senza accorgersene, finiscono per inginocchiarsi dalla parte sbagliata, non più nella direzione dell’Altare. Noi laici questi problemi non li abbiamo. I politici, gli scienziati e gli economisti siamo noi. Noi non possiamo avere nessun complesso di inferiorità verso noi stessi, e sono convinto che è anche per questo che, in tempi come quelli attuali, in cui la chiesa dei chierici è vittima dei propri complessi di inferiorità e ingenera troppa confusione e divisione tra i fedeli, il Corpo Mistico tenda ad ispirare maggiormente i laici alla responsabilità di distinguere i confini del depositum fidei, da una parte, e di ciò che appartiene a Cesare, dall’altra. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, e che mi ha condotto a questo libro, è ascoltare la più grande autorità religiosa del mondo dire che vaccinarsi è un atto di amore, dando così l’assist alle autorità politiche per proclamare che vaccinarsi è un dovere civico. A questo punto, il povero fedele cattolico che ha dubbi sul vaccino, e che è anche un buon cittadino, è accerchiato. Il suo dubbio è quindi un atto di egoismo? È una tentazione del demonio? È un atto contrario al bene comune? Oltre alla propria autorità religiosa e a quella politica, si trova al contempo discriminato e perseguitato da tutti con la complicità dei media mainstream. È diventato il cattivo da mettere alla berlina come egoista e nemico del bene comune, con la benedizione del Papa e dei Presidenti. Tutto ciò è inaccettabile e, nel mio piccolo, richiedeva almeno di mettere al servizio di questi giusti perseguitati le mie competenze professionali.