Nel panorama filosofico contemporaneo, l’opera di Antonio Livi ha un posto di rilievo, sia per l’originalità della sua proposta (infatti come ho mostrato altrove, sebbene molti siano stati i filosofi che hanno fatto riferimento alla nozione di senso comune, nessuno si è mai proposto di elaborare una filosofia su tale nozione), sia per gli obiettivi che si propone di raggiungere (il superamento di ogni forma di scetticismo e di razionalismo).
Per ben comprendere la portata speculativa del suo progetto, bisogna tener presente – come ben rileva un acuto studioso – che «il senso comune di cui si occupa Antonio Livi non è naturalmente il buon senso, sia che questo venga inteso come immediatezza spontanea del sentire che in filosofia, dove nulla vi può essere di ovvio, non ha diritto di accesso, sia che venga inteso come saggezza pratica, la phronesis aristotelica» (Battista Mondin, in Doctor communis 44 (1991), pp. 190 ss.). Tale precisazione è di fondamentale importanza, in quanto spesso la prospettiva liviana viene messa da parte e tacciata di ingenuità, proprio perché non si è compreso cosa effettivamente sia il “senso comune” e cosa sia la “filosofia del senso comune”.

Per approfondire questa interessante proposta filosofica, consiglio la lettura di Metafisica e senso comune che la Casa Editrice Leonardo da Vinci ha di recente ripubblicato anche in versione eBook.
La tesi che qui viene presentata, in polemica con il pensiero post-metafisico e le varie forme di irrazionalismo contemporaneo, è che la metafisica, intesa come formalizzazione delle verità originarie già presenti nel senso comune, non può essere “superata” e tanto meno ignorata dalla ricerca antropologica, etica e politica.
Giovanni Covino