È un giorno come tanti nella cittadina di Little Whinging, contea di Surrey, Inghilterra. Al numero 4 di Privet Drive Harry Harry Potter è costretto a partecipare – come ogni giorno e malvolentieri – allo sport preferito del cugino Dudley e dei suoi amici: «la caccia a Harry» (I, 43).
Questa insopportabile routine stava per essere rotta…
Nel giorno del suo undicesimo compleanno, difatti, inizia un percorso tanto insolito quanto inaspettato: una misteriosa porta si apre per il giovane protagonista di una delle opere fantasy più famose al mondo.
L’autrice J. K. Rowling, con leggerezza e profondità, è riuscita nell’arduo compito di descrivere un mondo fantastico connesso – nelle sue strutture essenziali – al nostro mondo, affrontando temi importanti quali la vita, la morte, l’amicizia, il dolore ecc.
Come ogni opera di fantasia ben scritta, l’essenziale si nasconde dietro i piccoli segni disseminati nelle pagine del racconto, segni che rimandano ad altro come la cicatrice a forma di saetta sulla fronte del piccolo Harry Potter.
Quando si apre il primo volume della serie – Harry Potter e la Pietra Filosofale – il lettore si trova dinanzi questo segno che nasconde al tempo stesso l’inizio e la fine del viaggio. Il primo capitolo, Il bambino che è sopravvissuto, ha in sé l’intera saga. Inizio e fine si incontrano, si fondono e riecheggiano nella domanda che la professoressa McGonagall pone nella buia e desolata strada di Privet Drive: «Ma in nome del cielo, come ha fatto Harry a sopravvivere?» (I, 26).
Le pagine dei sette volumi dell’intera saga sono una risposta a questa domanda. L’ultimo atto chiuderà il cerchio che, come in ogni cerchio, coinciderà con l’inizio: «erano in centinaia a premere contro di lui, tutti decisi a toccare il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto, la ragione per cui era davvero finita…» (VII, 644).
Il segno raggiunge il suo scopo.
Giovanni Covino
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