Il binario nove e tre quarti

Come il mattone colpito da Hagrid apre le porte di Diagon Alley, così il piccolo segno sulla fronte di Harry Potter permette sin dalle prime pagine di entrare nella vita del protagonista e seguire le sue avventure: il segno – come dicevo nell’articolo precedente – nasconde altro, nasconde una vita che deve farsi, una vita che deve raggiungere lo scopo in un confronto serrato con il suo drammatico inizio (cfr. I, 15-30: Il bambino che è sopravvissuto).

Il segno dice già qualcosa. E il lettore deve attentamente scrutare le pagine del romanzo per coglierne il significato, così come un cercatore scruta la realtà per decifrarne il senso in modo che – come dice Seneca – la vita non passi «senza averne avvertito il passare».

Come accennavo in apertura, Hagrid, il gigante buono che molti considerano un reietto (scelta significativa quella dell’Autrice), è la prima persona che aiuta Harry a comprendere la sua vita e lo guida nell’esplorazione di luoghi diversi, lo aiuta ad uscire dallo scantinato di casa Dursley. Hagrid è il primo insegnate del piccolo Harry, il primo semiologo che il giovane protagonista incontra e da lui è introdotto nel mondo non-babbano.

«Tu-Sai-Chi li uccise [sta parlando dei genitori di Harry]. E poi – e questa è la cosa veramente misteriosa – cercò di uccidere anche te […] Ma non ci riuscì. Ti sei mai chiesto come hai quella cicatrice sulla fronte? Non è una ferita qualsiasi. Quello è il segno che ti rimane quando vieni colpito da una maledizione potente: non ha risparmiato tua mamma e tuo papà, e neanche la casa, ma su di te non ha funzionato, e questo è il motivo per cui sei famoso, Harry» (I, 65).

Se le lettere che spuntano dal nulla sono per Harry l’invito ufficiale (ma ancora poco chiaro) per il mondo magico, è Hagrid che inizia a diradare la nebbia dell’ignoranza: è questo il principio di un cammino che condurrà Potter a conoscere non solo altre persone, ma – e direi soprattutto – sé stesso. In questo senso, volumi di Rowling possono essere letti come una descrizione dettagliata di un confronto serrato dell’uomo con sé, un confronto che molto spesso ha da percorrere strade che inizialmente non esistono, come il famoso binario nove e tre quarti. È questo il luogo che conduce il Nostro verso la sua nuova destinazione: ed è – a mio giudizio – un colpo da maestro dell’Autrice aver posto questo luogo in un punto non precisato, in una sorta di non-luogo. Il binario è raggiunto attraversando un muro, non esiste agli occhi dei più, ma, nonostante ciò, come nella vita di tutti i giorni, improvvisamente la via si apre proprio lì dove sembra non esserci nulla se non insormontabili ostacoli. Spesso è il semplice cambio di prospettiva che apre la via, che ci spinge oltre le ristrettezze della quotidianità: «So anyone who ran at the barrier with enough confidence would be able to break through onto this platform between platform 9-platform 10» (vedi: J. K. Rowling, Harry Potter and me).

Per raggiungere «enough confidence» occorre però un lavorio costante e uno studio attento di quanto accade e della realtà che ci circonda. In caso contrario, un muro resta un muro e all’uomo non rimane che tornare indietro o decidere di restare lì immobile in logorante attesa.

Come dice la signora Molly Weasleay ad un incredulo Harry:

«”Non ti preoccupare” disse lei. “Devi soltanto camminare in direzione della barriera tra i binari nove e dieci. Non ti fermare e non aver paura di andarci a sbattere contro: questo è molto importante. Se sei nervoso, meglio andare un po’ di corsa. E adesso va, prima di Ron”» (I, 98).

La seconda persona che apre la strada ad Harry è una mamma che si accorge del nervosismo del giovane e, dall’alto della sua esperienza, indica la strada e le modalità.

Presenze discrete, ma essenziali per Harry. Un aiuto per capire che lì, tra il 9 e il 10, non c’è solo un muro, ma innumerevoli potenziali strade da percorrere.

Giovanni Covino

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