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III.
Pavia era una città magnifica. Il commissario si muoveva tra le strade e i vicoli, che guizzavano svelti, ascoltandone la storia: le linee tipicamente barocche di alcuni edifici si intrecciavano con l’antica sempre viva gloria di Roma o con le memorie del regno longobardo.
Millenni dipingevano quadri che spesso le persone davano per scontato, nella normale indifferenza della vita quotidiana. Salaris, invece, riusciva a percepirne il ricordo. La sensibilità maturata nel corso degli anni, i dolori affrontati lo avevano spinto ad avere uno sguardo profondo sulla realtà intorno e sulle persone stesse. Dopo l’abbondante e succulento pranzo nel solito ristorante, il piccolo gruppetto si avviò attraversando la piazza principale della città per una passeggiata prima di tornare a casa. La piccola Vittoria seguiva come un’ombra il commissario, non lo lasciava respirare e lui si lasciava trasportare dal gioco.
La bella atmosfera venne però bruscamente interrotta: veloce si diffuse il suono delle sirene.
Prima un’ambulanza, poi un paio di volanti si diressero a tutta velocità verso Ponte Vecchio. Qualcosa era successo non molto distante dal luogo dov’erano il commissario e i suoi amici.
IV.
I rigonfiamenti del corpo suggerivano una presenza di qualche giorno in acqua. Domenico Sapi, ispettore capo di Pavia, osservava la scena con distacco mentre tra le sue dita l’ennesima sigaretta si consumava. Il medico legale era già lì pronto e Sapi stava chiedendo ad uno dei suoi agenti di perimetrare la zona e allontanare la folla di curiosi. Dopo qualche minuto Salaris e Grieco arrivarono sul posto.
«Buon pomeriggio, ispettore» – disse l’agente.
«Salve, Grieco. Che ci fa qui?» – chiese con aria distratta Sapi.
«Niente…ero qui di passaggio con la mia famiglia e il mio amico, il commissario Salaris, di Torino».
«Ah Salaris, mi ha già parlato di lui…mi pare…».
«Salve, ispettore» – disse con garbo il commissario.
«…lei però non è in serv…».
Stava per terminare la frase, quando Salaris riconobbe il cadavere. E istintivamente si avviò per guardarlo più da vicino. Sapi cercò inutilmente di fermarlo, ma il commissario con fare deciso si accostò e si chinò.
«Si tratta di Dario Adelchi, ispettore».
«Come lo sa?».
«Lo conosco bene. È il proprietario dell’appartamento dove alloggio…ho parlato con lui la settimana scorsa…».
«…capisco…».
«Ispettore, forse il commissario Salaris potrebbe darci una mano in…».
«…non è la prassi – disse Sapi interrompendo l’agente –, ma visto che si tratta di un collega e, inoltre, conosce la vittima, possiamo fare un’eccezione. Comunichi in centrale tutto e consideratevi in servizio a partire da ora…».
L’omicidio non è un affare semplice. E le prime impressioni di Salaris erano sempre le stesse: l’orrore del male si faceva spazio nella vita come un grosso taglio in una tela.
Adelchi, la vittima, era un uomo di mezza età, alto e grosso. Aveva divorziato qualche anno fa e il commissario conosceva bene la sua storia. La moglie lo aveva tradito e, sfruttando il suo buon cuore, aveva sperperato tutto. I genitori lo avevano isolato considerandolo un poco di buono e un disonore per il nome della famiglia stessa. Sì, perché Adelchi era una famiglia importante di Pavia. Il titolo nobiliare, nonostante oggigiorno non sia poi così considerato, li faceva comunque sentire importanti. Camminavano per la città con un chiaro sentimento di superiorità che li rendeva certamente poco amati. Dario, tuttavia, era diverso. Il commissario aveva conosciuto un uomo provato che cercava in tutti i modi di rialzare la testa e di guadagnarsi onestamente da vivere. E soprattutto senza la spocchia della famiglia.
«Allora, commissario, che mi dice della vittima…» –disse Sapi andando subito al sodo.
«Ispettore, Dario era una persona a posto. Aveva questo appartamento di proprietà che affittava regolarmente. È l’unica cosa che gli è rimasta dopo il divorzio. Si arrangiava con altri lavoretti…la famiglia pur essendo una famiglia importante non l’ha mai sostenuto per la questione divorzio…».
«Cioè?».
«Adelchi è una delle famiglie più importanti di Pavia, il loro albero genealogico arriva, almeno da quanto ne so, al periodo longobardo. Quando Dario ha sposato Erika, tutto è cambiato. La donna, diciamo così, ha approfittato della bontà d’animo di Dario che si è trovato senza un soldo e “disonorato” agli occhi della famiglia…».
«Questione d’onore…».
«A quanto pare…ma Dario è…era una persona squisita. Un vero gentiluomo. Un uomo onesto, laborioso, un uomo davvero di animo nobile…».
«Tanto buono che qualcuno l’ha ucciso…» – disse Sapi con leggera boria.
Dopo i rilevamenti del caso, il corpo venne portato via. Le grandi arcate del ponte lo avevano nascosto dallo sguardo dei passanti e le acque del fiume lo avevano reso quasi irriconoscibile. Il viso tumefatto, il ventre gonfio, i vestiti strappati, scarpa mancante…ma era il collo la cosa più importante: presentava segni evidenti di strangolamento.
«Paolo, che ne pensi?» – chiese preoccupato Grieco, mentre si accomodava su una delle poltrone presenti nell’appartamento di Salaris.
«Purtroppo, è un caso complesso. La famiglia lo odiava per via della moglie, la moglie lo considerava un ostacolo dal momento che Dario si era deciso di intraprendere le giuste azioni legali… tutti avevano un motivo…bisogna indagare… di’ però all’ispettore di non tralasciare nessuna pista…chiedere in giro…dobbiamo considerare anche altre possibilità: aveva una situazione finanziaria precaria, e quando si è stretti dalla necessità…».
«…tutto può succedere» – concluse Grieco.
La notte, come al solito, passò lenta. I pensieri si affastellavano nella mente del commissario come un groviglio che sembrava inestricabile. Salaris aveva bisogno di mettere ordine e iniziare a ricucire lo strappo che l’assassino aveva creato nella tela della vita [continua].
Giovanni Covino



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