Tornare all’essere! Riattualizzare il realismo metafisico per superare la decostruzione del pensiero postmoderno (pt. 1)

Propongo ai lettori di Briciole filosofiche la prima parte di una ricca e puntuale recensione che Matteo Andolfo ha fatto ai primi numeri della rivista τί έστι. Come detto in altri luoghi questo progetto nasce per affrontare temi che spaziano dalla metafisica all’etica, dalla gnoseologia alla psicologia, dall’epistemologica all’estetica, fino ad arrivare alle nuove frontiere della ricerca come la bioetica, il biodiritto o l’intelligenza artificiale. Lo sforzo degli autori di questa rivista sarà quello di recuperare – al netto di ogni antipatia ideologica verso il fenomeno religioso, in qualsiasi modo lo si voglia considerare – la forza e l’efficacia scientifica del pensiero speculativo di tipo metafisico. Si tratta dunque di compiere una battaglia culturale a difesa dei diritti della metafisica e perciò della filosofia in quanto tale, in un momento storico che, per certi aspetti, è decadente, antiumano, dominato dall’illogico, non sincero [Giovanni Covino].


Il titolo è evocativo. “Tì estì”, ovvero “Che cos’è?”, secondo quanto ce ne hanno tramandato i suoi discepoli, è la domanda fondamentale con la quale Socrate iniziava il dialogo con i suoi interlocutori, il presupposto per eliminare ogni pregiudizio e cominciare, se non a capire, quantomeno a vederci meglio.

Il 2022 ci ha regalato una piacevole e interessante novità meritevole di attenzione: la nuova rivista semestrale Tí esti, di cui sono stati pubblicati i primi due numeri. La rivista è stata fondata da Giovanni Covino, che ne è il segretario e coordinatore, e da Massimiliano Del Grosso, che ne è il direttore; è pubblicata dall’editrice Leonardo da Vinci di Roma.

Il formato è piccolo (15×21), gli articoli sono di lunghezza contenuta, ma elaborati con il rigore e la profondità propri di una rivista scientifica, eppure scritti in modo da renderli fruibili a un pubblico ben più ampio dei soli “addetti ai lavori”. Questo è anche senz’altro motivato dal fatto che essa «nasce per affrontare temi che spaziano dalla metafisica all’etica, dalla gnoseologia alla psicologia, dall’epistemologica all’estetica, fino ad arrivare alle nuove frontiere della ricerca come la bioetica, il biodiritto o l’intelligenza artificiale», come recita il colophon della rivista.

Questo ampio spettro di àmbiti e di tematiche affrontate non rischia di ingenerare un approccio confuso o fluido ad esse, poiché la rivista ha un’identità precisa: «La tradizione filosofica di riferimento è quella del realismo metafisico».

Non si tratta, tuttavia, di una sorta di “operazione nostalgia” o di “mera archeologia”, del ripetere una tradizione le cui origini affondano nel pensiero antico-medievale, che è stata aspramente criticata e rigettata dal pensiero moderno e postmoderno, mettendo tra parentesi quest’ultimo e i suoi esiti nichilistici per consolarsi con il richiamo all’epoca delle verità assolute, della fiducia nella ragione ecc.

Al contrario, il richiamo a questa tradizione è al fine di riattualizzarla per cimentarne la fecondità teoretica con i problemi della cultura odierna: «Nell’attuale congiuntura storica – prosegue il colophon – pensiamo sia di estrema importanza recuperare il cosiddetto “pensiero forte” per affrontare nel miglior modo possibile le nuove sfide, in un vivo confronto con diverse linee di pensiero». Tutto ciò emerge ancor meglio dalla lettura dell’editoriale di Massimiliano Del Grosso nel primo numero della rivista e dagli interventi di Giovanni Covino nei due numeri.

La modernità, rileva Del Grosso, è indubbiamente un periodo di enormi cambiamenti, molti dei quali conseguiti in virtù della riforma del metodo di indagine scientifica, ovvero della ragione che misura criticamente le sue conoscenze, che cerca di dare loro quella che la filosofia angloamericana chiama epistemic justification. Nel giro di pochi decenni la scienza ha permesso all’uomo di realizzare cose che per millenni erano state soltanto immaginate e questa potente accelerazione era divenuta evidente già sul finire del XVIII secolo a un pensatore come Hegel, del quale il suo massimo oppositore, Karl Marx, ha salvato il processo dialettico, considerandolo l’unica vera conquista della filosofia moderna tout court. Qualche decennio più tardi Friedrich Nietzsche considererà, invece, l’accantonamento della coscienza filosofica di Dio – preludio dell’ateismo di massa – come la più grande conquista recente dell’umanità, ma, precisa lo studioso, «si tratta di due facce della medesima medaglia. Che cos’è infatti la dialettica hegeliano-marxiana se non l’attestazione dell’autosufficienza e dell’autofondazione della Realtà temporale, la coincidenza del divenire con l’eterno, da cui si evince chiaramente come sia assurdo, se non almeno inutile, teorizzare una qualche forma di trascendenza metafisica?» (p. 8).

Solo che la filosofia è essenzialmente meta-fisica. Pertanto, allorché nella cultura occidentale, per ragioni politiche e storiche,si è affermata la convinzione «che le religioni – in particolare quelle monoteistiche, da sempre votate ad una sorta di “totalitarismo” nel momento in cui le si è fatte coincidere col potere politico – siano le massime oppositrici della liberazione dell’uomo dall’ignoranza, dalla miseria e dall’infelicità» (p. 10), la lotta antireligiosa per la libertà (la parola-chiave che accomuna tutto l’evo moderno, e l’unica rimasta in piedi nel postmoderno, una volta implosa la sua compagna di tre-quattro secoli, la “ragione speculativa”) combattuta in tutti gli àmbiti della cultura si è rivolta anche verso la metafisica, la cui distruzione ha finito per «coincidere con la riduzione della filosofia a una vuota descrizione di percezioni e stati psichici, ermeneutica relativa all’interprete e ai suoi stati e ai suoi pre-giudizi (e dunque mai affermativa di qualcosa di stabile per quel reale che comunque si vuole conoscere, cioè collocare con una certa stabilità negli scaffali del proprio sapere), poetica evocativa di stati d’animo che dovrebbero creare in noi un certo “accesso” alle strutture dell’essere. Ed è esattamente tutto questo che è la filosofia oggi, quantomeno quella che va maggiormente in voga» (p. 11).

Lo sforzo di questa rivista è, invece, di recuperare la forza e l’efficacia scientifica del pensiero speculativo di tipo metafisico. Ciò motiva il nome della rivista: “Tí esti”, ovvero “Che cos’è?”, la domanda fondamentale con cui Socrate iniziava il dialogo con i suoi interlocutori. «Chiedersi cosa sia la realtà significa ammettere i limiti della nostra conoscenza, la nostra fondamentale ignoranza, ma al contempo riconoscere il potere della nostra intelligenza, quello di riuscire a cogliere, seppur in maniera parziale e sovente nebulosa, la vera essenza delle cose» (p. 11).

La filosofia, gli fa eco Covino nel saggio introduttivo al primo numero, è considerata, spesse volte, un’attività senza senso, un’elucubrazione mentale priva di un concreto referente reale, specialmente nell’odierno contesto socio-politico, il cui interesse primario è rappresentato dalle questioni economiche, dall’equilibrio dei bilanci degli Stati, dal risultato pratico immediato e simili. Tuttavia, siccome la filosofia è domanda radicale sul senso della totalità del reale, sulla causa dei fenomeni che destano stupore[1] e, visto che nello scoprire la causa delle cose consiste il vero sapere, ne deduciamo che la filosofia è vera scienza e se ne può cogliere «la concretezza, il suo “esistenzialismo”, il connaturale innestarsi nei dinamismi di intelletto e volontà che tendono alla fruizione del vero, del bene e del bello, in definitiva alla felicità» (p. 13). E non è certo la presenza di testi che celebrano la morte della filosofia a far tacere nel cuore e nella ragione di ogni uomo le domande fondamentali, non è certo il pensiero debole a eliminare l’impellenza della questione forte circa il perché della nostra esistenza. «Checché ne dica il pensiero post-moderno la filosofia è tale esigenza, si nutre di tali domande, domande che non si possono evitare, pena il venir meno alla nostra propria natura di esseri razionali» (p. 14). L’uomo è essenzialmente un metafisico e non può smettere di interrogarsi sulla realtà che lo circonda, realtà che reclama una spiegazione, un Fondamento. L’etimo della parola filosofia è “amore della sapienza”; il termine latino sapientia deriva, a sua volta, dal verbo sapĕre,“aver/sentir sapore”. Perciò, il termine è stato utilizzato per indicare la capacità di “dar sapore” alla vita, di saper vivere indirizzando la vita verso il vero bene. Sapiente, dunque, è colui che ordina tutte le cose in vista del fine ultimo (Dio). Ciò significa che tutti gli uomini sono, in un certo senso, filosofi perché desiderano conoscere la verità. I filosofi propriamente detti non fanno che problematizzare e percorrere la via che conduce a Dio con strumenti scientifici, formalizzando quindi il discorso e rispondendo a eventuali obiezioni [Fine parte prima].

Matteo Andolfo


Note al testo

[1] Lo stupore o la meraviglia, precisa Covino nell’editoriale del secondo numero, è quel sentimento che nasce dinanzi alla misteriosa presenza della realtà e che stimola l’uomo a cercare di rendere ragione delle cose che vede, passando dall’ignoranza alla sapienza. Ci sarà sempre qualcuno che si stupirà delle cose che sono, che farà esperienza di quell’antica e sempre nuova meraviglia, e cercherà di rispondere a questo stupore, aspirando sinceramente alla verità.


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