Propongo ai lettori di Briciole filosofiche la seconda parte (per la prima parte clicca qui, per la seconda parte clicca qui, per la terza parte clicca qui) di una ricca e puntuale recensione che Matteo Andolfo ha fatto ai primi numeri della rivista τί έστι. Come detto in altri luoghi questo progetto nasce per affrontare temi che spaziano dalla metafisica all’etica, dalla gnoseologia alla psicologia, dall’epistemologica all’estetica, fino ad arrivare alle nuove frontiere della ricerca come la bioetica, il biodiritto o l’intelligenza artificiale. Lo sforzo degli autori di questa rivista sarà quello di recuperare – al netto di ogni antipatia ideologica verso il fenomeno religioso, in qualsiasi modo lo si voglia considerare – la forza e l’efficacia scientifica del pensiero speculativo di tipo metafisico. Si tratta dunque di compiere una battaglia culturale a difesa dei diritti della metafisica e perciò della filosofia in quanto tale, in un momento storico che, per certi aspetti, è decadente, antiumano, dominato dall’illogico, non sincero [Giovanni Covino].
Una particolare attenzione alle tematiche più innovative della cultura contemporanea è rivolta nella sezione “Filosofia&I.A.”, che nel secondo numero pubblica un’intervista di Giovanni Covino con Michele Marsonet, ordinario di Filosofia della scienza e di Metodologia delle scienze umane all’Università di Genova. Tra i molti contenuti interessanti del colloquio, mi limito a richiamare i seguenti elementi delle risposte di Marsonet:
• molti oggi negano l’utilità stessa della Filosofia della scienza, ignorando che sin dalle sue origini la filosofia occidentale ha sempre ritenuto necessaria l’indagine filosofica e critica della scienza. Inoltre, la scienza non è in grado di rispondere a ogni domanda poiché è intrinsecamente fallibile e in continuo divenire. Pertanto, la filosofia continua a svolgere il suo ruolo di coscienza critica nei confronti della scienza, senza sopravvalutare il ruolo della filosofia come fece il marxismo e senza sottovalutarlo come ha fatto più recentemente la tradizione analitica. «Nella storia del pensiero occidentale c’è sempre stato chi ha proclamato la “fine della filosofia”. Si è sempre trattato, tuttavia, di morti solo apparenti, giacché la filosofia è in ogni occasione risorta rinnovando il proprio vocabolario e senza tradire i suoi obiettivi di fondo. La filosofia non può morire perché è una componente essenziale della nostra natura di esseri umani» (p. 103).
• «L’intelligenza artificiale, in fondo, è il coronamento di un vecchio sogno dell’umanità, quello di riprodurre e meccanizzare il processo del pensiero. C’è inoltre un altro presupposto tacito: l’eliminazione della mente, entità misteriosa e inafferrabile, a favore del cervello, ente fisico sul quale si può sperimentare. Confesso di nutrire qualche perplessità sul concetto stesso di “intelligenza artificiale”, e non sono certamente il solo ad avere dubbi. Per esempio, quando si afferma che sistemi artificiali come “Deep Blue” sono in grado di battere dei grandi campioni di scacchi, si vuole anche dire che tali sistemi hanno “l’intenzione” di vincere? Io non lo credo, ma altri studiosi pensano il contrario. È un altro capitolo dell’antica disputa tra chi riduce tutta la realtà alla dimensione fisica, e chi invece ritiene che ciò non sia possibile. In ogni caso il problema dell’intenzionalità ha un’importanza enorme. Pare assai difficile attribuire stati intenzionali alle macchine, anche se alcuni autori continuano a credere a tale possibilità» (p. 101). Credenze e intenzioni appartengono piuttosto agli esseri umani che progettano e costruiscono i calcolatori con fini essenzialmente pratici.
La rivista ha anche una sezione dedicata alle recensioni. Nei due numeri sono recensiti saggi che spaziano dalla logica aletica e dalla filosofia liviana e maritainiana del senso comune alla connessa nozione di senso morale, fondamento dell’etica, approfondita dallo stesso Covino, alla fenomenologia di Edith Stein in rapporto al tomismo. Sono recensioni di volumi che permettono un ulteriore approfondimento dell’identità della rivista.
Al termine di questa disamina dei primi due numeri di Tí esti spero di aver attratto l’attenzione dei lettori sul valore di questa rivista e di essere riuscito a far comprendere le ragioni che mi spingono a elogiare con convinzione gli ideatori di questa nuova iniziativa culturale e dell’editrice Leonardo da Vinci che l’ha accolta e condivisa.
Vorrei concludere con un’osservazione: forse qualche lettore può restare stupito del nesso che ho posto tra l’esigenza di “tornare alla realtà, all’essere” e il realismo metafisico, dato che la metafisica è ritenuta dai più come la disciplina del Trascendente, che in quanto metempirico è distante dalla realtà dell’esperienza. Tuttavia, invito costoro, in primo luogo, a ricordare che la metafisica è la scienza dell’ente in quanto ente e che l’ente è ciò che in qualsiasi modo è, sicché da essa non è escluso alcunché, tanto meno la realtà percepibile ed esperibile, ma solo il non-ente, che è nulla. In secondo luogo, ritengo sia proprio un’esigenza del pensiero il ritorno all’essere dopo che la filosofia moderna da Cartesio in poi ha “decostruito” l’oggetto, la realtà, dapprima affermando che il soggetto, l’unica realtà la cui esistenza è indubitabile, conosce non gli enti, ma le proprie idee (razionalismo) o impressioni (empirismo) o i fenomeni costruiti dalle forme a priori della sensibilità e dell’intelletto umani (Kant) e poi riducendo l’essere a prodotto del pensiero, dell’Io trascendentale (idealismo). Il pensiero contemporaneo, soprattutto postmoderno, ha successivamente “decostruito” anche il soggetto, che perde la propria identità di soggetto critico-razionale e si riduce a “tassello” di una nuova dimensione esistenziale, quella della realtà virtuale, completamente immaginifica: conoscenza, sentimenti ed emozioni nascono e si fermano alle immagini della realtà; l’io non conosce i fatti nel loro materiale accadimento, ma è persuaso di averli conosciuti dalle immagini che attirano la sua attenzione e si riduce a mero destinatario di una narrazione persuasiva, non veritativa, mera strategia linguistica che permette al processo informativo di conseguire il successo sociale. Questo vuoto totale di realtà, di essere e perciò di intelligibilità può essere colmato solo dall’irrazionalismo, e infatti il pensiero postmoderno veicola anche una “neo-soteriologia” intrisa dei più vari sincretismi e ibridismi di religiosità orientale e panteismo materialistico nostrano, di spiritualismo anodino e magismo naturalistico, neospiritismo ed esoterismo nebuloso, non alieno da venature fantascientifiche[1].
Infine, anche la scienza, sviluppando in senso cripto-metafisico le innovazioni della fisica quantistica, è pervenuta a concezioni convergenti con quelle suddette: in Helgoland (Adelphi, Milano 2020) il fisico Carlo Rovelli sostiene la tesi secondo cui le cose sono solo relazioni, al di fuori delle quali non esistono, non hanno realtà autonoma. Perciò, non esiste neanche un’essenza vera del nostro essere: l’“io” non è altro che l’insieme interconnesso dei fenomeni che lo costituiscono, ciascuno dipendente da qualcosa d’altro.
Il realismo metafisico, invece, come sottolinea spesso Vittorio Possenti nei suoi saggi[2], è una metafisica dell’attualità esistenziale. Con il riferimento all’atto di tutti gli atti e perfezione di tutte le perfezioni, l’actus essendi, oltre il quale è impossibile retrocedere, si tocca la radice della realtà nel suo vittorioso sottrarsi all’insidia del nulla. Mediante l’esplicitazione delle proprie virtualità inespresse il pensiero metafisico è capace di progresso come “ripresa” della speculazione sull’essere nei nuovi contesti storici, spirituali, culturali. L’intelletto e la ragione possono confrontarsi con la realtà dell’essere nella sua infinitezza, comprendendo che non tutto si può comprendere, facendo così spazio al mistero quale presenza inesauribile di essere e di vita, cercando di pensare il tempo e l’eterno.
Il realismo metafisico è un’“ontologia fondamentale”, poiché, toccando il nucleo dell’essere, offre una chiave di volta incapace di coartare l’esistenza, idonea a seguire le articolazioni della realtà, dall’oggetto più insignificante all’infinito, entro l’idea del carattere dinamico e aperto della vita, assicurando la comprensibilità dell’intero, ma lasciando aperti immensi campi di ricerca.
Matteo Andolfo
[1] Cfr. B. Montanari, Itinerario di filosofia del diritto, CEDAM, Padova 2004; A. Postorino, La scienza di Dio. Il tomismo anagogico di Giuseppe Barzaghi O.P. come testa di ponte verso una teologia per il terzo millennio, Esd, Bologna 2018.
[2] Riguardo ai quali rinvio a M. Andolfo, Riscoprire il realismo metafisico quale antidoto al nichilismo, in R. Pozzo – M. Tedeschini (ed.), L’essere dopo la metafisica moderna, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2021, pp. 17-36.
