L’artiglio del diavolo, I. Un’indagine del commissario Salaris

I.

La neve cadeva copiosa sulla città di Torino. Il silenzio di quella notte si mescolava alla luce tenue dei lampioni che illuminavano le strade vuote. Salaris guardava dalla finestra del suo appartamento la città che dormiva.  

Di solito, quando tornava a casa, il sonno si presentava al commissario come un estraneo e l’abitudine suggeriva di aprire uno dei libri presenti sugli scaffali del suo vecchio appartamento. Le parole dei suoi autori preferiti si stagliavano sulla pagina bianca non come semplici macchie di inchiostro, ma si presentavano spesso ai suoi occhi come segni, indicazioni: alcune parole aiutavano il commissario a ritrovare quel pizzico di tranquillità che la barbarie del quotidiano lacerava continuamente. Quella notte non faceva eccezione.

Per Salaris quel momento era come ricercare un ordine che la vita aveva stravolto. C’era qualcosa di importante nei libri, nella riflessione scritta, nelle parole pensate e ripensate: c’erano l’animo di un uomo e la sete di comprensione che faticosamente venivano a galla. Erano una specie di indagine la scrittura e la lettura, ma senza il trambusto dell’azione e l’orrore tangibile del male. Solo così, tra le pieghe di un libro, il commissario riusciva a scacciar via, almeno nello spazio di una notte, i fantasmi che lo avevano accompagnato nel corso della sua vita e le brutture del quotidiano. Il lavoro lo costringeva a pensare. E il suo modus operandi non era una mera ricerca del colpevole, non si trattava solo di “fermare il male”: per il commissario Salaris l’indagine aveva un aspetto imprescindibilmente umano. Nessuno, per lui, era tanto buono da non poter cadere nella drammaticità e nella tragicità del male: una vita onesta e laboriosa poteva, in un momento di debolezza tipicamente umana, appesantirsi dell’atroce fardello della colpa. Nessuno poteva considerarsi escluso, immune da…

In un certo senso, era come pensare il contrario dell’ordine geometrico così caratteristico della città in cui viveva: Torino, aveva tratti precisi che avanzavano dritti e formavano, con altre linee, un movimento così netto da non dar spazio alle imperfezioni. E osservando dalla finestra del suo appartamento questo luogo classico, Salaris coglieva il paradosso manifesto: lo sforzo dell’ingegno umano di dare ordine e la vita che, talvolta, procedeva in modo così rapsodico.

Erano questi i pensieri che accompagnavano il commissario e quella notte, così silenziosa e carica di mistero, non faceva eccezione.

II.

La scena che si presentava agli occhi del povero amministratore era un raccapricciante groviglio di corpi e un terrificante stupore si era come spiaccicato sul suo viso: due donne e due uomini brutalmente assassinati e posti, completamente nudi, nell’angolo della camera in una posizione che ricordava una specie di sacrificio pagano [continua…]

Giovanni Covino