Il mistero della biblioteca di Oxford, III



III.

Mercoledì, 27 luglio 1300

L’università di Oxford era tra i più prestigiosi centri culturali della cristianità e l’ordine francescano aveva contribuito in modo decisivo alla sua ascesa, grazie alla presenza di importanti figure quali Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone. Insomma, la scuola era nata e cresceva per merito delle menti migliori e proprio questo fu il motivo per cui Giovanni Duns Scoto fu mandato lì. Tuttavia, tra quelle stesse mura che ogni dì ospitavano interessanti dispute filosofiche o teologiche, si consumò, alla fine del mese di luglio del 1300, un terribile delitto.

Era appena trascorsa la notte e l’alba, come sempre, era annunciata, non solo dal sole, ma anche dal consueto suono della campana che richiamava i frati dalle loro celle e comandava loro di raggiungere il coro per le lodi mattutine. La cella dei frati era angusta e austera, ma era proprio in questa mancanza che questi cercatori di Dio scovavano le ricchezze dell’eterna sapienza. Al suono della campana, il percorso che seguivano era sempre lo stesso: nella sua ritualità, questo cammino di inizio giornata, apriva la porta della giornata alla preghiera, al lavoro e allo studio. I frati iniziavano a percorrere il lungo corridoio, che aveva sia a destra che a sinistra piccoli ingressi, e, una volta percorso questo tratto, si giungeva ad un piccolo ingresso che aveva, a destra una porta che dava sul chiostro, a sinistra una porta che conduceva al refettorio. Giunti lì, i frati aspettavano che la porta alla loro destra venisse aperta, per poi uscire e percorrere l’intero chiostro per raggiungere la parte opposta dove si trovava l’ingresso della chiesa. Entrati, ogni frate compiva il suo gesto di adorazione dinanzi all’altare e raggiungeva, dietro l’abside, il coro, il luogo della preghiera. In ordine e in silenzio, i frati prendevano posto nei loro stalli. Cominciava così la giornata. E quella mattina di luglio iniziò allo stesso modo, ma quello che accadde dopo portò molti a dubitare della presenza di Dio tra quelle mura o quantomeno a pensare che in una delle celle, l’Onnipotente fosse stato cacciato via.

Erano appena passate le 9. Alcuni frati si diressero nelle aule per le lezioni, altri, invece, raggiunsero la biblioteca per consultare testi antichi o studiare. Quella mattina, Giovanni era proprio lì e stava esaminando con un altro confratello un testo che riportava la definizione aristotelica di metafisica.

«Vedi – disse Scoto rivolgendosi al confratello – in base a quanto detto, possiamo dire che partendo dall’ente, possiamo risalire al Sommo…».

Scoto non riuscì a terminare la frase a causa di un inquietante rumore che arrivò, come il fragore di un tuono, dalla stanza attigua. Giovanni si alzò e andò a vedere, mentre Filippo, il frate che stava disquisendo con lui, restò al suo posto e continuò a leggere.

Non appena giunse lì, Scoto vide un grosso volume scaraventato a terra e alcuni confratelli che parlottavano, tra di loro, in modo convulso. Alcuni avevano un atteggiamento piuttosto animato, perciò Scoto si avvicinò per placare gli animi.

«Cosa è successo?» – chiese Scoto.

«Niente. Il nostro caro Adalberto è convinto che ogni posto in questo scrittoio sia suo: oggi lì, domani là…».

«Cari fratelli – disse con calma Scoto – mi sembra una questione che possa essere risolta senza tante difficoltà e con un po’ di buon senso».

«Facile a dirsi per te, Giovanni, tu non hai a che fare con tipi come lui» – disse Adalberto indicando con il dito Igino.

Alla fine il trambusto era una semplice “lite” tra due muli e proprio perché tali mostravano non potevano che mostrare ostinazione e testardaggine. Perciò Scoto, dopo aver detto la sua, decise di tornare indietro, pensando al verso del Salmo:

Non siate come il cavallo e come il mulo privi d’intelligenza; si piega la loro fierezza con morso e briglie…

Quando giunse, trovò una situazione ben peggiore, anzi tragica. Filippo era sullo scrittoio, riverso, senza vita. L’immagine di quel corpo era in stridente contrasto con la realtà che significava quel posto: il frate aveva la testa, come pesante macigno, sul libro che stava poco prima consultando, gli occhi, vitrei, erano fissi sul muro alla sua sinistra, le labbra erano gonfie e di un colore stranamente violaceo, mentre dalla bocca, che mostrava uno strano e inquietante ghigno, due rivoli di schiuma giallognola scendevano e andavano a macchiare il libro di Aristotele.

«Giovanni, cosa è successo? Cosa hai fatto?» – disse un confratello poco dietro.

«Nulla, non ho fatto nulla. Son tornato e ho trovato Filippo così».

«Ma eri tu a parlare con lui poco prima. Devi pur sapere qualcosa».

«Ti dico che non so nulla. Quando sono andato via era in perfetta salute. E ora…».

«…e ora è morto».

Quando disse quella parola, il suono si estese come una specie di boato all’interno della biblioteca e tutti i frati lì presenti si avvicinarono per vedere l’accaduto.

«Eri con lui e ora è morto. Guardate – disse fra’ Girolamo – ha un piccolo foro qui sul collo. E qui c’è un piccolo oggetto appuntito…guardate» – disse prendendolo in mano e mostrandolo.

«Giovanni – disse un altro frate – cosa puoi dirci di questa cosa?».

«Non so. Prima non c’era nulla».

«Secondo me, mente» – disse un altro.

«Io li ho sentiti discutere poco fa e anche altri giorni» – disse un altro.

«Fra’ Filippo ed io discutevamo sempre – rispose Scoto – non è una novità. Amavamo confrontarci pur avendo opinioni diverse su molte cose. Non farei mai una cosa del genere».

Molti iniziarono ad inveire contro Scoto che però non si scompose ed iniziò a riflettere per capire bene quello che era appena successo. Mentre tutti parlavano e lo guardavano torvi, arrivò il rettore dello studio, chiedendo subito cosa fosse successo. Scoto, nel frattempo, aveva cominciato a scrutare attentamente il corpo di Filippo e l’ambiente circostante.

IV. 1

Il cielo fuori era diventato grigio e iniziò a cadere la pioggia che da leggera, in pochi minuti, divenne martellante. Nella biblioteca l’atmosfera divenne ancora più cupa e il rettore diede ordine di accendere tutte le torce presenti per illuminare le stanze [continua].

Giovanni Covino

2 pensieri su “Il mistero della biblioteca di Oxford, III

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