Incontrare la sofferenza: la riflessione filosofico-religiosa di Max Scheler

Filosofare vuol dire riflettere sul senso del mondo, sul senso delle cose di cui facciamo quotidianamente esperienza. Trattasi di un’attività che esprime il desiderio, profondamente radicato in ogni uomo, di conoscere la verità per trovare non solo il senso di cui sopra, ma capace altresì di illuminare il nostro cammino, la nostra stessa esistenza che qui ed ora stiamo vivendo.

Costellata di piccole e/o grandi gioie, così come di tenui e/o profondi dolori, la nostra vita è sempre lì a chiedere ragione di quanto ci accade quasi come il bambino che pone continuamente la domanda delle domande: perché?

La vita è lì che cerca una spiegazione per capire meglio, per acquisire un grado maggiore di consapevolezza nel cammino verso la fonte dell’essere.

Può accadere che, durante questo stesso cammino, il “perché?” risuoni più forte nell’animo: scossi da un improvviso dolore e dalla conseguente sofferenza, ci troviamo di fronte a un irrazionale movimento che porta l’esistenza a contorcersi su se stessa e a rimanere impigliati come in una rete.

Momento alto e tragico allo stesso tempo perché è in quell’istante che sentiamo drammaticamente tutta la nostra forza venire meno e tutta la nostra debolezza farsi avanti inevitabile. Con Il senso della sofferenza (Mimesis, Milano-Udine 2023, pp. 151), il filosofo tedesco Max Scheler ha cercato di tematizzare il “patire” e – come dice Alessio Musio, curatore di questo piccolo ma prezioso lavoro – i «diversi atteggiamenti elaborati dall’umanità nei confronti del soffrire, sulla base di un percorso che dall’etica e dall’antropologia filosofica si apre alla metafisica e alla filosofia della religione» (p. 7).

Scheler parte dalla semplice constatazione di un fatto: «i dolori e le sofferenze delle creature hanno un senso, perlomeno un senso obiettivo» (p. 61). Nella quotidianità queste esperienze sono necessarie – spiega nelle prime pagine – per salvaguardare la vita, aiutano cioè a discernere ed evitare il pericolo. Tuttavia, da questo aspetto per così dire “superficiale” il filosofo passa alla “profondità” propria della domanda sul senso: per l’uomo, «al di là di questa cieca fattualità c’è una sfera di senso e di libertà, da cui iniziano le grandi dottrine della salvezza» (p. 61).

L’essere umano non solo soffre, ma sa di soffrire e questa consapevolezza lo porta ad un’interrogazione più radicale che mette in questione l’intero. La sofferenza pone l’uomo di fronte all’assurdo di un mondo che proviene dal Bene assoluto ma che ha in sé la presenza del male.

Perché – si chiede Scheler – il Fondamento divino del mondo – così razionale e saggio nell’aver fornito all’essere vivente un sistema di segni naturali per mostragli ciò che dovrebbe o non dovrebbe fare per la sua autoconservazione e promozione – non ha fatto ricorso a un mezzo meno barbaro e violento?

Il senso della sofferenza, p. 69.

Da questa domanda inizia il percorso di Max Scheler: una ricerca che, muovendosi tra l’indagine fenomenologica e la religione (confrontando in particolare le risposte di buddhismo e cristianesimo), cerca di scandagliare questo profondo mistero che segna la vita di tutti, ponendo – in queste dense pagine – particolare attenzione al sacrificio e all’amore, unici atti in grado quantomeno di pacificare un cuore inquieto dinanzi a ciò che è, comprensibilmente, avvertito come assurdo.

Giovanni Covino

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