Lo scorso anno, dopo l’esonero di mister Ancelotti, scrissi un articolo dicendo – citando il filosofo Seneca – che «gran parte del progresso sta nella volontà di progredire».
Ero tra quelli che vedeva in Ancelotti una possibilità per il Napoli, la possibilità di cambiare registro e iniziare una sorta di rivoluzione e compiere il definitivo salto di qualità. Un cambio di mentalità in un ambiente ancora assuefatto al “dogma sarrista” e ancorato alla nostalgica idea della “grande bellezza”.
Naturalmente, quando dico “Ancelotti” mi riferisco a ciò che – a mio parere – Ancelotti ha rappresentato, vale a dire il “voler progredire” che si trova alla base “del progresso” e, allo stesso tempo, la definitiva separazione da quell’idea del calcio come rivoluzione.
Invece, dopo l’ennesima sconfitta, siamo ancora qui ad analizzare il “dogma” di cui sopra che, oggi, ha cambiato “veste” o, per meglio dire, si manifesta alle folle con una parola nuova: non è più la “grande bellezza”, ma il “veleno”. Sì, perché il Napoli ha ancora bisogno, dopo anni di alta classifica, di “veleno”, di sentire l’odore del sangue per raggiungere un obiettivo.
Il problema del Napoli si chiama Ancelotti.
Giovanni Covino