Descartes e la metafisica. La sesta meditazione: l’immortalità dell’anima, l’esistenza delle cose materiale, l’unione sostanziale

Propongo ai lettori di Briciole filosofiche la seconda parte (per la prima parte clicca qui) di un interessante articolo sul filosofo francese René Descartes: un viaggio nella metafisica del padre della modernità [Giovanni Covino].


L’ immortalità dell’anima

Emanuela Scribano nel suo testo Guida alle Meditazioni metafisiche di Descartes cita una lettera di Cartesio a Mersenne del 25 novembre 1648 dove il filosofo francese afferma che per dimostrare l’immortalità dell’anima occorre aspettare le Meditationes de Prima Philosophia e vuole appunto chiamare la seconda MeditazioneDella natura dello spirito umano. Eppure non basta la II Meditazione, perché l’altro presupposto è la distinzione reale tra corpo e mente di cui tratta la Sesta. Il meccanicismo cartesiano lo porta a concepire il mondo come un’unica res extensa universalis di cui il corpo umano è una parte. Ora per Cartesio le sostanze per natura sono incorruttibile dunque lo sono tutte. Il corpo come res extensacambia negli accidenti ma non nella sostanza. E così se tutte le sostanze sono incorruttibili a maggior ragionelo sarà la sostanza spirituale che non soffre nemmeno del cambiamento degli accidenti, secondo Cartesio. Il corpo umano per Cartesio viene s^ annientato ma non lo è la sua sostanza perché il corpo è per Cartesio il complesso di sostanze e accidenti. Le sostanze possono essere annientate solo da Dio. Dunque la stessa distinzione reale risulta essere insufficiente se non si prova prima che una sostanza è incorruttibile per sé. La morte del corpo non intacca, dice la Scribano, né la sostanza del corpo né quella dell’anima.

L’esistenza delle cose materiali

La prova dell’esistenza delle cose materiali nella Sesta Meditazione suppone i ragionamenti fatti nella Terza sulle idee avventizie e le idee fattizie. Sappiamo che le idee fattizie sono idee del tutto immaginarie verso cui si tende a non credere, per usare un linguaggio adeguato a quello cartesiano, che le cose che rappresentano non esistano. Così nella terza Meditazione mancava il passaggio decisivo per poter stabilire che le idee avventizie provenivano da cose esterne: questo passaggio consiste nella dimostrazione di un Dio verace. Ancora Cartesio discute della facoltà di immaginare e dice: «quando immagino un triangolo, non lo concepisco solo come una figura composta e compresa da tre linee, ma oltre ciò, considero queste tre linee come presenti per la forza e l’applicazione dello spirito». E’ questa forza e applicazione dello spirito che abbiamo chiamato “tensione del pensiero” relativamente alla definizione di immaginazione.

Eppure l’immaginazione ha un legame con la memoria e alla sensazione da cui provengono le idee avventizie. In questo caso, come scrive la Scribano ancora, l’immaginazione è come un “Giano  bifronte”: da una parte rimanda alla pura intellezione, come se fosse messa in atto dal pensiero nel suo sforzo di immaginarsi concretamente le idee, dall’altro assume rappresentazioni dalla sensazione. Ma ciò non basta perché nella Terza Meditazione la differenza qui tra idee avventizie e idee fattizie lo aveva portato solo ad attestare la probabilità di cose esterne cause delle idee avventizie. Ma nella Sesta Meditazione, dopo aver dimostrato in precedenza l’esistenza di un Dio verace, Cartesio può argomentare:

Dio è garante di quel che percepisco chiaramente e distintamente come natura dell’io

se possedessi una facoltà capace di formare tutte le idee ne sarei cosciente

la passività della sensibilità implica che causa delle sue rappresentazioni sono cose esterne e materiali.

La propensione a credere nell’esistenza dei corpi esterni poi non va attribuita nemmeno a Dio altrimenti Dio avrebbe dato all’uomo una propensione “invincibile e ingannevole” ad un tempo senza possibilità di correzione. Ma ciò contrasta con le prove dell’esistenza stessa di un Dio verace.

L’unione sostanziale

Quella dell’unione sostanziale in Descartes può ben essere chiamata “la dimostrazione impossibile”. Cartesio deve spiegare come sia possibile che ad un tempo ci siano idee intellettuali non di provenienza sensibile ed idee che ha la stessa mente ma confuse ed oscure di origine sensibile, quando la sensibilità da Cartesio era stata revocata in dubbio in tutto il suo valore e la sua attendibilità, affidabilità epistemica. Cartesio tenta di attingere e al platonismo e all’aristotelismo. Al Platonismo per spiegare l’innatismo, all’aristotelismo per spiegare come sia possibile l’errore in quanto dovuto ai sensi e pertanto supponente una sorta di unione tra mente e corpo. Le due tesi però sono contraddittorie perché se la distinzione reale è un teorema dimostrato con certezza, con altrettanta certezza si manifesta l’indubitabilità dell’esperienza interna dell’errore. Come si può vedere tale contraddittorietà minaccia il postulato essenziale impostato da Cartesio stesso ossia la veracità divina che sarebbe paradossalmente responsabile di tale contraddittorietà.

Mario Padovano OP

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